Il ciclismo azzurro vive una fase di crisi. Sicuramente dal punto di vista dei risultati, con la mancanza di grandi campionati da risultati "top" nel World Tour (al netto di alcune situazioni particolari come Ganna nelle cronometro e Colbrelli nelle classiche dell'anno scorso: del resto, una tradizione come quella dell'Italia mica si cancella in un decennio). Veniamo da una campagna del nord senza un nostro connazionale in top ten, e nei Grandi Giri i favoriti ormai sono fenomeni di altri Paesi.
Abbiamo deciso dunque di interpellare sul tema alcuni personaggi del panorama ciclistico italiano: oggi è il turno di Rossella Dileo, storica dirigente del team Colpack
C'è una premessa d'obbligo: «Abbiamo passato anni d'oro dove il nostro sport era prettamente italiano - esordisce la Dileo -. Di quei tempi sono rimasti tecnici e direttori, meccanici e massaggiatori, che sono per la maggior parte nel World Tour: vuol dire che a gestire le strutture siamo ancora quelli bravi.»
Le difficoltà arrivano quando si tratta di preparare i talenti a diventare campioni in un professionismo sempre più mondiale. E qui c'è il macigno che grava sulle spalle di chi porta avanti il ciclismo in Italia: «Qua da noi c'è una pressione fiscale, tra tasse e contributi, praticamente doppia rispetto all'estero - fa notare la Dileo - che induce gli atleti ad andarsene e influenza inevitabilmente i budget delle società. Amadori ha pienamente ragione quando sostiene che più squadre World Tour e Professional italiane aiuterebbero il movimento, ma se altrove ci vogliono 10 milioni e qua 15-17...»
Le disparità di vario tipo tra Italia e altri Paesi sono il filo conduttore della conversazione con la responsabile organizzativa della Colpack Ballan. Questi altri esempi concreti che ci porta la nostra interlocutrice:
«In Italia abbiamo una regolamentazione molto restrittiva sull'utilizzo delle stanze ipobariche per prendere più in fretta la condizione, mentre all'estero le usano senza problemi. O ancora: solo in Italia hai l'obbligo di fare i famosi due anni da Under 23, mentre altrove puoi bruciare le tappe. Insomma, in questo Paese devi lottare un pochino di più rispetto ai colleghi stranieri perché il sistema in generale sembra invogliarti ad andar via. E anche la differente durata dei corsi di studi superiori tra noi e gli altri ha una sua incidenza. Ipotizziamo uno spagnolo e un italiano di 19-20 anni: a parità di età, uno fa il primo anno di università (dunque più gestibile come organizzazione e orari) mentre l'altro è ancora all'ultimo di liceo, con la conseguenza che o è uno a livello di Nazionali azzurre oppure a scuola sono inflessibili sulle ore di assenza. Naturalmente noi siamo a primi a dire al ragazzo "dai la precedenza agli esami di maturità" però così un piccolo gap nel percorso ciclistico si crea. Del discorso fiscale ne parliamo da trent'anni, mentre quello scolastico è più recente: tra i corridori di una certa epoca d'oro in pochi si sono diplomati in tempo, il mondo di oggi invece è diverso, devi garantirti una certa preparazione e un titolo di studi quindi quasi tutti vanno in fondo con la maturità. Ora, io non dico necessariamente che noi sbagliamo e sono giusti gli altri: dico che certe questioni puoi valutarle se le regole sono uguali per tutti.»
C'è poi un ambito nel quale l'Italia secondo Rossella Dileo "si è svegliata dopo": «Ci siamo sempre concentrati sulla strada, ma l'insicurezza crescente delle strade ha dirottato genitori e ragazzini sugli sterrati. Adesso il settore giovanile della mountain bike sta avendo una crescita elevata pure da noi, intanto nel ciclismo internazionale sono già approdati fior di campioni dalla MTB...»
Ma oltre a tutto questo - chiediamo alla Dileo - non c'è anche un po' troppa fretta di bruciare le tappe da parte di giovani corridori e rispettivi procuratori? «Ok, ma quella non c'è mica solo alla base! Quelli "di sotto" cercano di progredire più veloce del dovuto perché in alto, se non porti risultati in breve tempo, ti lasciano a piedi. Per menzionare proprio il grande Nibali, i 18 anni suoi non sono quelli di un talento odierno: il sistema è cambiato, tutti cercano il fenomeno.»
Tanti processi ed effetti che si intersecano, e non potrebbe essere altrimenti in un problema parecchio complesso dalle soluzioni non semplici. La Dileo comunque chiude con questo spunto: «Come fatto giustamente per le donne, si dovrebbero potenziare e far correre le gare Under 23 omologhe delle grandi corse maschili in corrispondenza di queste ultime, per dare maggior visibilità e incentivare gli sponsor.»