L’Eroica e’ un tuffo nel ciclismo operaio degli anni Settanta. Apri gli occhi e ti svegli con la lancetta dell’orologio all’indietro. Tanta nostalgia e un magone cosi’ che ti toglie il fiato. Le maglie in lana con le lettere ricamate: Scic, Zonca Santini, Bustese Wilier Triestina, Urss, Gommista Brigioni, Gis Gelati, Giacobazzi Lambrusco, Mornaghese, Inoxpran e Brooklyn. Le bici in acciaio, quelle degli artigiani italiani con l’officina sotto casa, i fili dei freni fuori, il cambio da far girare e quei dannati tacchetti da stringere con il cinghietto che passati quarant’anni da quando correvo con le biciclettine della F.C.I., nei giovanissimi e negli esordienti, non ne vogliono sapere di entrare al loro posto.
Benvenuti a Gaiole in Chianti, nel cuore delle terre di Siena, fiorentina, Dio bono, Antonelle, ribollita e vin santo, ameno paesino no global che due giorni all’anno si trasforma nella capitale mondiale del ciclismo eroico di un tempo delle tv in bianco e nero. Accanto alla gara, cicloturistica sulle strade bianche da 38, 75, 135 e 205 km che per l’edizione numero 14 ha 5mila iscritti, c’e’ un mercatino con il gotha dei collezionisti del ciclo d’antan dove si trova davvero di tutto. Gli iscritti all’Eroica sono 5mila - altrettanti ne sono rimasti fuori – e arrivano da tutto il mondo per partecipare a questa gara dove vince chi va piu’ piano, dove ai ristori ti danno il vino e la ribollita invece del gatorade e delle barrette. Più simile a un rito collettivo, che a una gara. Un tuffo bellissimo in un’Italia che non c’e’ più .
Io per l’occasione sfoggio una autentica maglia della Nazionale italiana diliettanti. La indossava tanti anni fa Fausto Restelli da Gallarate, campione italiano juniores ’79, passista scalatore e figlio di Ezio Restelli, profesionista ai tempi di Charly Gaul e di Gastone Nencini. Anche la bici mi e’ stata prestata da un amico ciclista, Luca Violetto, che invece quest’anno ha una superba Wilier Triestina bronzo ramata tutta montata Campagnolo, appena ricomprata da un anziano cicloamatore veneto che la teneva in cantina. La mia e’ una vecchia Bottecchia che Luca ha usato all’Eroica 2013: poco piu’ di un cancello, con dei freni tedeschi mai visti, che Dio solo sa che cosa succederà se ti dovessero servire davvero.
La prima sfida dell’Eroica e’ riuscire a risalire e a pedalare su queste vecchie bici e farle andare, come si andava un tempo, su strade sterrate, piene di polvere, polvere che ti entra dappertutto. Ridarle gloria a queste bici, riportarle in vita, per qualche ora ai vecchi fasti.
Gli eroici piu’ eroici, quelli che scelgono di fare il percorso sopra i 200 km, partono alle 5 di mattina che è ancora buio, con le lucette attaccate al manubrio. Io sono iscritto alla lunga ma dopo i 6mila metri di dislivello dell’ultima Oetztaller a Solden, la pioggia, il freddo, le tredici ore in bici, non ho tanta voglia di stare fino a stasera sui pedali e preferisco pensare a questa lunga giornata solo per godermi lo spettacolo: uno scenario naturalistico e ciclistico dalla incomparabile bellezza, senza fretta, senza lo stress del tempo e della prestazione. Ho lasciato volutamente a casa i vari gps, cardiofrequenzimetri e computer di bordo, di cui ormai tutti siamo dotati e non sappiamo andare star senza. E vado cosi’, semplicemente, con una bici e i pedali, la forza e il cuore.
I miei amici non avevano voglia di svegliarsi presto e cosi’ partiamo alle 6.30 del mattino, alle prime luci dell’alba. Fa freddo, in discera un’aria gelida ti ghiaccia le mani. Molti indossano impermeabili moderni sopra le maglie in lana per ripararsi. Io ho deciso di farla “duro e puro” questa Eroica. Ho la mia maglietta della nazionale che pizzica sulla pelle. E sotto un bel giornale. Un foglio ripiegato del mio Sole 24 Ore per ripararmi dall’aria del mattino. Si parte alla francese, quando vuoi, e si arriva quando si riesce. Vincono tutti.
I primi km dell’Eroica sono su strada asfaltata e meno male perché devo prendere le misure con la bici e con i tacchetti di questi scarpini trovati su eBay che non vogliono proprio saperne di entrare nei fermapiedi. Alla prima salita incontro un arzillo tedesco con una maglia originale della T-Raleigh e una bici anche essa originale. Pedala bene, nonostante gli anni. Mi racconta che ha corso il Tour de France nel ’76 e nel ’77 e che ha tenuto per un paio di giorni la maglia gialla. Quando lo fa gli si illuminano gli occhi. La prima strada bianca comincia nella salita che porta su fino al castello di Brolio. Diversi tornanti secchi e spianate, ma il fondo e’ buono e si riesce a salire di buona lena fin su in cima con il cielo che comincia a schiarire. In discesa ci si apre davanti agli occhi un angolo di Toscana, salvato dalla cementificazione selvaggia delle villette a schiera e dei centri commerciali che ha deturpato tante, troppe parti del nostro bel paese. Qui e’ rimasto tutto come era. Ed e’ davvero piacevole immergersi in questo paesaggio da cartolina. Ci fermiamo per fare una foto sotto un leccio secolare lungo la strada bianca che porta verso Pianella.
Per tutte le prime ore della “gara” continuiamo a pedalare di buona lena, tra piste sterrate, simili a quelle che ho visto nella giungla tropicale, in Camerun. Per andare in bici e non cadere devi avere un radar negli occhi e capire dove far passare con la tua scia, evitando il ghiaietto sul centro e ai bordi e quella sabbia bastarda che se la becchi in curva sei già per terra a curarti le ferite. Dopo due ore il corpo comincia a farsi sentire e la spia rossa del serbatoio si accende. I ristori diventano traguardi attesi e desiderati. Il primo è a Radi. Una piazza davanti a una vecchia fattoria. C’e’ il primo timbro del percorso e l’agognato ristoro che offre pane toscano a fette con tutte le varianti locali: al miele, all’olio d’oliva, al vino rosso e zucchero, al salame, con la salsiccia spalmata. Da bere: acqua di fonte, orzo e the caldo oppure Chianti rosso.
Sono le 10 di mattina e dopo un bicchiere di vino rosso e innumerevoli fette di pane olio e formaggio e-o salsiccia, riprendere a pedalare è una sfida come prima di una salita. Il sole ormai alto ci fa dimenticare il gelo nelle mani all’alba e illumina a giorno una campagna dall’incredibile bellezza, spianate di campi si perdono con lo sguardo all’orizzonte, macchiati qua e la da vecchi casali in pietra, cipressi in fila che sembrano disegnati con i pastelli.
Fa caldo ora. Pedalo di buona lena, non so a quanto sto andando ma credo a istinto a piu’ di 30 all’ora sulle lunghe carrareccie sterrate che tagliano in due i campi e salgo e scendono in un continuo su e giu’ che rendono questo percorso difficile e impegnativo con continui cambi di ritmo (alla fine della giornata avremo fatto circa 140 km e 2200 metri di dislivello secondo il Gps in dotazione a uno dei miei amici eroici piu’ tecnologico di me).
Continuo a raggiungere e superare ciclisti con la maglia in lana e antiche glorie a due ruote. Una ragazza belga con i polpacci da scaricatore di porto avanza a tutta velocita’, con un gonnellino a pois rosso e nero che si muove al vento. Stacco anche lei. Mi sta dietro solo un ragazzo con i capelli lunghi, La maglia della Brooklyn di Roger De Vlaeminck e una stupenda Gios, blu Gios, anni Settanta, conservata come una reliquia. Andiamo avanti veloci, per un buon tratto insieme, e ci raccontiamo pedalando un po’ di noi. Gli dico delle mie imprese “pazze” in bici, del mio libro, Tutte le salite del Mondo, che le racconta ma in italiano. Che ho appena percorso con mio figlio la bella ciclabile da Parigi a Londra. David invece vive a Londra, appassionato di due ruote, va al lavoro in bici con qualsiasi condizione meteorologica e d’estate viaggia per l’ltalia e la Francia per ripercorrere le strade che hanno fatto la storia di questo sport. Lavora come manager in uno dei negozi di Paul Smith, stilista colorato cool in terra di Britannia e appassionato anche lui del pedale. Mi racconta, David, che il signor Paul Smith inforca ancora la bici e si conserva come un ragazzino grazie alla sua passione. A David, capelli lunghi e fisico asciutto, piace molto l’idea del campione romantico sciupafemine alla Roger De Vlaeminck. Un mito. Per questo forse e’ vestito come lui. E’ una specie di James Hunt delle due ruote De Vlaeminck, mi dice, mentre continuiamo a menare su questa dolce salita, sotto un sole africano, strano per essere il 5 ottobre. A un certo punto raggiungiamo un gruppo di attempati australiani che vengono da Melbourne per fare l’Eroica, su Colnago e Pinarello d’epoca. David scopre che ha sbagliato percorso: non e’ su quello lungo come pensava, ma sul medio. E così dopo una 20ina di km a tutta fatti assieme, gira la bicicletta a valle e torna indietro cercando la giusta deviazione. Arrivo in alto alla salita e mi rendo conto che ho lasciato indietro tutti i miei amici.
Mi fermo all’ombra di una bella quercia e aspetto. Arriveranno. Intanto mi godo il panorama. Dopo un po’ la squadra si ricompone. Gruppo compatto. Ricominciamo ad andare allegramente verso Asciano. In discesa mi ritrovo a pedalare per caso vicino a una signora sopra la sessantina: Annamaria viene da Lugo di Romagna, ed e’ la pronipote di Francesco Baracca: mostra con un certo orgoglio la maglia in lana azzurra della squadra Lugo Baracca. Mi racconta che con un suo amico da qualche tempo, all’inizio di maggio organizza una bizzarra gara: Orgoglio pieghevole, 64 km su bici pieghevole, Graziella e simili, e abiti vintage anni 70. Mi racconta della sua passione per la bici scoperta tardi. ”Pedalo da due anni, sono nonna e ho tre nipotini. Qualche anno fa ho superato un brutto male, da allora non me ne voglio perdere nessuna di queste gare. Mia figlia mi dice che che sono matta, alla mia età, ma io non mi ci vedo a fare la nonna che fa la calzetta”. E cosi’ la nonna rock ha inforcato una bici da corsa. Mi accorgo pero’ che in curva si sposta pericolosamente a sinistra e passa dall’altro lato della carreggiata, da dove arrivano le auto. La invito a stare piu a destra per far si’ che possa rivederli i suoi nipotini. Mi ringrazia e mi invita ad andare alla prossima edizione dell’Orgoglio pieghevole con i miei amici.
Il ristoro di metà gara ad Asciano e’ quello dove ti danno la Ribollita, e l’”ovo fresco” da bere, assieme al solito Chianti, pane e Finocchiona e Panforte. Un attentato calorico alla nostra Eroica, considerando che passato il ristoro comincia una salita da togliere il fiato, il Monte Sante Marie, uno strappo dietro l’altro su strade un po’ piu’ rovinate e piene di sabbia dove è davvero difficile per il numero di ciclisti sul percorso e per le insidie del terreno restare sui pedali lungo tutti gli strappi che mi dicono i ben informati in alcuni punti qui arrivano al 18-19 per cento. La dico un’Ave Maria mentre provo a conquistare la prima salita con il salame che torna su. Ogni tanto sono costretto a mettere giu’ il piede e a continuare di passo spingendo la bici a mano, e con me lo fanno in tanti, ma non e’ un grosso cruccio. C’e’ un’atmosfera euforica, nella fatica e nel sudore, tra la polvere e i polpacci gonfi.
Il resto della mia Eroica e’ voglia di arrivare e scendere dalla bici, e’ il vin Santo con i Cantucci all’ultimo rifornimento di Castelnuovo Berardenga, a prendere il sole seduti in piazza, le colline dolci e i vigneti pettinati sull’ultima salita che ci riporta al Castello di Brolio. E’ una coppia di ragazzi americani, a pochi km dall’arrivo a Gaiole, che festeggiano rumorosamente il fatto di avercela fatta ad arrivare, scortati da altri amici americani in auto che strombazzano sul clacson manco fosse il Tour de France, guidando una 127 bianca prestata da un contadino, anch’essa rigorosamente d’epoca.
E’ l’arrivo, finalmente, a Gaiole in Chianti dopo una decina di ore, immerse nel traffico, a fare lo slalom tra le auto in fila, nei due sensi di marcia. Un epilogo per niente bucolico, immersi nel traffico – ma gli organizzatori dove erano? - dopo una bella giornata di sport e natura.
Riccardo Barlaam