Ecco l'Italia. Ecco la solita Italia, che sono poi due e opposte come i volti di Giano Bifronte. Una è generosa altruista e appassionata, l'altra, spietata e greve, si impegna soltanto per distruggere quel che di buono fa la prima. Scusate la divagazione, ma aggiornandovi sul viaggio verso Toumoumba, in Mali, del nostro pedalatore folle Giovanni Menchi, non potevamo che partire dal mesto addio riservato dal nostro Paese alla gagliarda comitiva.
Siamo a Fiumicino, punto d'arrivo della terza tappa del tour partito domenica 6 da Cervia. E' la notte fra l'8 e il 9 aprile. Ultima notte italiana prima del volo, ultima notte in un letto immacolato d'hotel, prima dell'avventura. Ma proprio nel posteggio dell'albergo dove l'accompagnatore Mauro Foli ha lasciato l'auto con cui ha scortato Giovanni nelle tre tappe italiane, arrivano gli sciacalli dell'altra Italia. Rubano tutto, vestiti, provviste alimentari, tende. Soprattutto i farmaci e il materiale didattico che i bambini della scuola di Cervia avevano raccolto come formichine tutto l'anno per donarlo ai pari età maliani. Carico sparito, volatilizzato, per il gesto di qualche sciagurato che ne avrà ricavato si e no un centinaio di euro.
Per Giovanni e Mauro, invece, significa attraversare mezza Africa subsahariana senza attrezzatura. Per i bimbi di Cervia veder calpestato tanto amore, per quelli di Toumoumba fare a meno di poche cose che per loro avrebbero rappresentato un piccolo tesoro.
Sono salvi, per fortuna, i bagagli all'interno dell'hotel: i fondi raccolti per finanziare il progetto Anita che permetterà alle bambine più dotate di proseguire gli studi, è salva la bici con cui Giovanni addomesticherà la savana, sono salve le macchine fotografiche di Mauro. E Gente d'Africa, la onlus a favore della quale è stata organizzata l'impresa ciclistica, riesce anche, all'indomani, ad improvvisare una colletta per comprare qualche quaderno e qualche matita, un paio di computer, qualche farmaco di primissima necessità e un cambio d'abiti per la comitiva rimasta letteralmente in mutande.
La missione è salva. L''indomani, così, si decolla e si arriva a Dakar, via Lisbona, nel pomeriggio. Giovanni balza subito in sella e si mangia i primi chilometri. Sono i più facili perché sulla costa del Senegal le strade sono ancora asfaltate. Il giorno successivo Giovanni riesce a percorrere addirittura 233 chilometri, pur con una temperatura che sale verticalmente a 40 gradi. Ma dal giorno successivo le cose si complicano davvero.
Piste in terra battuta, polvere spessa come nebbia, termometro a 47 gradi e vento tirato sempre contrario. La percorrenza scende a ridosso dei 120 chilometri e a rallentare la marcia arrivano anche gli incontri con gli animali, soprattutto babbuini, nell'attraversamento di un parco. Giovanni avanza coperto di polvere con una mascherina sulla bocca; beve ogni 3 minuti e ogni 10-20 minuti deve buttarsi addosso un po' d'acqua per raffreddare gambe e braccia.
La partenza ogni mattina è anticipata, attorno alle 4-5, per sfruttare qualche ora di relativo fresco. E' comunque un calvario. La frontiera con il Mali, però, è ormai in vista. Ieri finalmente è stata raggiunta e superata. Mauro, la moglie Rossana e la compagna di Giovanni, Anca, seguono la pedalata da una vecchia Toyota guidata da Diawoye, referente locale di Gente d'Africa e vecchio amico di tutti i viaggiatori trans-maliani. Ma con tende di fortuna per gli accampamenti (quelle da deserto sono sparite a Fiumicino) anche l'accampamento notturno non dà ristoro. C'è sabbia dappertutto, vento che soffia fin all'interno, teli che sbattono tutta notte. Coraggio!
Ora il Mali è raggiunto e alla meta mancano "soltanto" 700 chilometri. La gente è meravigliosa, l'accoglienza nei villaggi addirittura una festa. Il che significa ogni volta un buon pasto fumante: verdure, riso o miglio, mezzo pollo e un pesce del Niger. Giovanni sente che ce la farà.
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PUNTATE PRECEDENTI
1 - Il viaggio di Giovanni Menichi per il Progetto Anita
2 - Preparazione e tabelle di marcia
3 - Sulla strada per Roma