Da quest'anno anche gli atleti italiani possono usare le tende ipossiche o ipobariche, fino alla scorsa stagione ritenute al pari di una pratica dopante.
Caduto un divieto storico inserito nella legge penale antidoping 376/2000, nella comunicazione inviata dal Ministero della Salute alla Federazione Medico Sportiva e a tutte le federazioni sportive a fine novembre, si leggeva: "In riferimento all'ultimo decreto ministeriale che contiene la lista dei principi attivi e metodi dopanti del 23 ottobre 2023, che recita "Non è vietato l’utilizzo della camera ipobarica; l’atleta che ricorre a tale pratica deve rimanere sotto stretto controllo del medico sportivo sia prima che dopo l’utilizzo della camera ipobarica", si rappresenta che tale indicazione scaturisce da un approfondimento scientifico-bibliografico effettuato dal Consiglio Superiore di Sanità, che si è espresso su richiesta della Sezione per la vigilanza e il controllo sul doping del Comitato Tecnico Sanitario, per fornire un parere tecnico scientifico sulla possibilità di usare la camera ipobarica ad uso sportivo. Tale metodica era proibita, contrariamente a quanto già previsto dalla Wada (agenzia mondiale antidoping). Al fine di allineare il trattamento degli atleti italiani con quelli stranieri, la Sezione per il controllo sul doping ha ritenuto di procedere con la suddetta richiesta".
Bene, ora che gli atleti italiani possono prepararsi come gli avversari di altra nazionalità sfruttando questo strumento c'è da capire a cosa serve e come va utilizzato. «Anche se l'investimento non è da poco, c'è stato un boom di richieste riguardo all’acquisto di tende che permettono nella comodità della propria casa di simulare la quota. Ne esistono numerosi modelli (anche portatili), che collegati ad un compressore riducono progressivamente la quantità di ossigeno a disposizione, come se l'atleta dormisse ad alta quota: in questa maniera, il corpo è obbligato a produrre naturalmente più globuli rossi, e quindi ci sarà una quantità maggiore di ossigeno a disposizione dei muscoli per lo sforzo sportivo» spiega Andrea Morelli, responsabile del Laboratorio Analisi del Movimento e coordinatore tecnico della sezione ciclismo del Centro Ricerche Mapei Sport di Olgiate Olona (Varese).
«Simulare l'altitudine o stare in altitudine però non è la stessa cosa. In quota la percentuale di ossigeno nell'aria è la stessa che a livello del mare, ciò che cambia è la pressione parziale dell'ossigeno quindi a livello polmonare la capacità di scambiare ossigeno e legarlo con l'emoglobina per poi essere trasportato nel torrente sanguigno; in una tenda ipossica invece avviene una diluizione quindi una diminuzione della percentuale di ossigeno per cercare di riprodurre ciò che avviene in quota» continua il preparatore, riferimento per quanto riguarda il ciclismo al centro varesino a cui si affidano numerosi professionisti, individualmente e come referente scientifico e tecnico di alcuni team, come nel caso della Lidl-Trek di Elisa Longo Borghini, Jonathan Milan, Elisa Balsamo e Giulio Ciccone.
«I primi studi, effettuati a metà-fine anni Novanta da ricercatori svedesi e finlandesi sembravano molto promettenti in quanto presentavano elevati guadagni in termini di eritropoietina serica, globuli rossi ed emoglobina; questi risultati sono però stati ridimensionati dagli approfondimenti portati avanti da colleghi australiani all’inizio degli anni Duemila che hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica con percentuali di guadagno inferiori e solo con una permanenza di almeno 8-18 ore al giorno, per un periodo di almeno 3 settimane simulando una quota di circa 3.000 metri».
Per Morelli l'investimento non vale la pena, meglio un training camp in una bella località di montagna con i propri compagni di squadra, soprattutto perché durante un ritiro quello che comunque fa la differenza sono il volume di allenamento (ore) ed il dislivello totale di lavoro in salita. Ad ogni modo, se si opta per utilizzare una tenda ipossica bisogna avere le giuste accortezze. «Per un atleta professionista personalmente preferisco l'allenamento in quota, all'amatore consiglio di lavorare su altri aspetti, primo fra tutti l’allenamento. Spesso la distribuzione dei lavori settimanali e la periodizzazione seguita sono sbagliate; curare la posizione in bici, seguire una dieta personalizzata sia in corsa che fuori, poi pensare a questi ”marginal gains”. Seguendo comunque le linee guida scientifiche del protocollo “living high and training low” (dormi in altura e allenati in basso) è possibile provare a mantenere anche a casa, sfruttando gli effetti della tenda ipossica, l'intensità di allenamento come se fossimo a livello del mare, ma sarà necessario aggiustare il volume di allenamento perchè dormendo “in quota” e quindi con meno ossigeno a disposizione i tempi di recupero si allungano» conclude l'esperto.
Il dottor Claudio Pecci, responsabile sanitario del Centro Mapei Sport e specialista in medicina dello sport, già medico della nazionale di ciclismo a mondiali ed olimpiadi, aggiunge: «Ogni intervento esterno al di fuori dell’allenamento ben programmato va visto sempre come una “forzatura” sull’organismo. Ricordiamoci sempre che ogni individuo ha una sua peculiarità organica, metabolica e funzionale e quindi ogni intervento “stimolante” può avere reazioni differenti. Alcune pratiche possono essere anche consentite ma quando si va al di là delle necessità terapeutiche lasciano sempre qualche dubbio dal punto di vista etico. Come sempre gli effetti (e le conseguenze) a distanza di pratiche borderline a tutt’oggi non sono del tutto prevedibili, quindi se le si adotta bisogna sempre farlo con cautela».