Caro Direttore,
capita di trovarsi di fronte a notizie o, peggio, a fatti che lasciano... l'amaro in bocca. Magari l'espressione non è del tutto significativa dello sconcerto, dello sconforto e della rabbia provocatimi dalla riscontrata positività del "vincitore" della Sportful Dolomiti Race, ma devo contenermi in termini sia di educazione che, soprattutto, di razionale espressione del mio pensiero. Anche se, ad onor del vero, non inducono ad alcuna benevolenza le conseguenze di un accadimento di tal fatta per il nostro amato Sport del Pedale.
Già il buon Lance Armstrong, uno che in materia la sapeva veramente lunga, mi aveva sollecitato con le sue considerazioni, criticabili finchè vi pare ma almeno provenienti da un soggetto che, comunque la si intenda, ha lasciato una traccia nella Storia del Ciclismo. Dal momento che non è mio costume... stare sulle ruote, dirò subito che, bene o male, l'americano sette - dico 7 - TOUR de FRANCE li ha messi in bacheca. Continuo e continuerò a credere, nella mia ostinata ingenuità nonostante abbia i (pochi) capelli ormai bianchi, che un Tour non lo si vince a pane ed acqua. Sì, lo so bene, ..."il ciclismo è cambiato... , "...adesso i corridori sono tutti nella regola..." , "...il doping è ormai relegato a pochi cretini..." , ed altre amene verità di cui si va da anni cianciando.
Resta il fatto, e questo reputo sia l'aspetto dirimente della questione, che nel caso del texano si sta parlando di ciclisti professionisti, vale a dire di persone che dedicano gli anni migliori della propria vita al lavoto, tuttora fachiresco e di estremo sacrificio, del ciclismo. Stiamo valutando, proprio così, uomini che svolgono una professione sportiva alla quale si vorrebbe estraneo, permanendone un irragionevole ed irrazionale divieto, il ricorso alla scienza medica. Perchè alla fin fine, diciamolo senza tanti giri di parole, questo sarebbe IL doping: censurabile e criticabile ad oltranza il mio pensiero, ma senza che si affronti mai un dibattito serio, di natura tecnica e scevro da pregiudizi, sull'eventualità, e non dico possibilità, che si trovi mai una soluzione condivisa che permetta ai ciclisti-atleti di professione, in termini di dettagliata e specifica trasparenza, di potere legittimamente e lecitamente ricorrere alla medicina.
Tutt'altro discorso va riservato all'ennesimo dopato amatoriale (e solo di pochi giorni fa dal Minsitero della Salute erano stati, ancora una volta, ... dati i numeri in materia), che ha/aveva "trionfato" nella corsa dolomitica. Anzi, pensandoci bene, meglio tacere: un saggio ebbe a dire che il silenzio è l'espressione massima del disprezzo! E, pur richiamandomi a tutti i sacri principi difensivi e di presunzione d'innocenza, e bla.. bla.. bla.., che vanno garantiti anche a chi sia incolpato di doping, non ho remore ad affermare, visto anche il contesto sportivo ove il fattaccio si è verificato, che solo un poveretto può violare la sacralità delle Dolomiti... bombandosi allegramente!
Caro direttore, qui gli unici campioni sono i corridori veri, che nonostante tutto continuano a svolgere con ammirevole professionalità e senza battere ciglio un lavoro... usurante. Per la gran parte proprio a causa dei "rintronati" di cui sopra, sempre nell'occhio del mirino di criticoni ipocriti e, non va dimenticato, anche dei signori dell'antidoping. Per i quali... dura lex sed lex. Insomma, la legge è (e deve essere?) uguale per tutti. Mi domando: per i ciclisti professionisti così come per i cicloSUONATI? Io una risposta ce l'ho. Gradirei sapere che ne pensa chi, come me, ama il CICLISMO.