Il Tour del 1903? “Quella prima frazione durò circa 18 ore. E dopo averla vinta, Garin si saziò con due polli, quattro bistecche, una frittata con 12 uova e 12 banane”, “Nella seconda tappa verso Marsiglia, alla stazione di Montélimar videro Hippolyte Pagie scendere dal treno con la bici in spalla, pesto e contuso dopo una caduta. Sul treno era salito 10 km prima a Loriol. Lo convinsero che non si doveva ritirare, le ferite erano superficiali. Così risalì in sella percorrendo la strada al contrario sino al punto in cui era salito sul treno. E poi riprese il percorso”.
Il Tour del 1922? “Sembrava dovesse essere finalmente la volta di Jean Alavoine di Roubaix, l’eterno piazzato già prima della guerra. Ma verso Metz ruppe la bicicletta e per poterla cambiare con un complice la prese a martellate per renderla ancor più inservibile e offrirsi l’alibi per il cambio. I commissari di corsa lo scoprirono e gli affibbiarono spietatamente un’ora di penalizzazione”.
Il Tour del 1954? Senza italiani in gruppo, “l’entusiasmo della gente in Italia venne così dedicato ad Alberto Ascari, un grande pilota che vinceva spettacolarmente, dominando la scena, l’eroica Mille Miglia. Tiberio Mitri, invece, tornò campione del mondo dei pesi medi stroncando a Roma Randy Turpin. E in luglio, assenti al Tour de France della doppietta di Louison Bobet, ci esaltammo per Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, che conquistarono il K2, la seconda vetta del mondo dopo l’Everest, a quota 8611 metri, in Pakistan, nel Karakorum”.
Il Tour de France ha 121 anni e 111 edizioni da ricordare e raccontare, moltiplicato per il numero dei corridori e dei chilometri, una cifra che supera l’infinito. Beppe Conti l’ha riassunta in un libro di 400 pagine a 25 euro, intitolato “Il giallo del Tour”, sottotitolato “Trionfi e tragedie, segreti e misteri della corsa più importante del mondo dal 1903 ai giorni nostri”, e pubblicato da Minerva. Un’opera di sintesi che ha richiesto scelte e selezioni, ma anche attenzioni e sottolineature, che ha privilegiato aneddoti e curiosità, e che infine raccoglie sguardi e pennellate, suggerisce atmosfere e paesaggi, invita a scavi e approfondimenti. Una lettura utile anche per altre letture. Un sussidiario rotondo. Una scrittura che potrebbe armonizzarsi con le immagini di un filmato, o anche con le note di un musicista. Una voce familiare, da quando accompagna le corse con la Rai. Stavolta, ConTourbante.
Il Tour del 1973? “Poulidor, in assenza di Merckx, era pronto a indossare l’agognata maglia gialla già al primo giorno, l’incredibile frutto proibito che invece mai coglierà. Realizza un tempo eccellente sui 7 km d’un tracciato non facile. Ma chi lo batte? Un corridore che non è specialista di quel genere di esercizio, però corre in casa, Joop Zoetemelk. Di quanto? Non c’è nulla da ridere, 80 centesimi di secondo! Che folle follia per il buon Raymond”.
Il Tour del 1993? “L’unico Tour che Cipollini avrebbe potuto portare a termine, arrivando a Parigi. Ma non ha avuto fortuna. C’era una tappa davvero tremenda per lui, verso Isola 2000, dopo aver scalato il col de Restefond, oltre quota 2600 metri. Una salita infinita, alla destra di Vars e Izoard sulle cartine, non lontano dalle Alpi cuneese. Il ricordo è nitido. Al raduno di partenza a Serre Chevalier Mario, in maglia verde di leader della classifica a punti, ci sorride: ‘Beppe, quasi 30 km di salita per arrivare lassù sul Restefond. La distanza che c’è da casa mia al mare’”.
Il Tour del 2018? Nibali “aveva già provato ad attaccare ai meno dieci sulla mitica salita dell’Alpe. Viaggiava in testa alla corsa con Froome, Thomas, Dumoulin, Bardet quando nella gran ressa degli spettatori un tifoso si avvicinò troppo, munito di macchina fotografica. Vincenzo incocciò nella tracolla dell’oggetto e ne venne come disarcionato. La tv francese inquadrò Nibali a terra, era stato questione di un attimo. Picchiò duro la schiena, ma essendo un po’ ‘fachiro’, come quasi tutti i ciclisti, risalì in sella e arrivò al traguardo, chiudendo al settimo posto nel giorno della vittoria di Thomas in giallo davanti a Dumoulin, Bardet e Froome. Arrivò al traguardo all’Alpe d’Huez a dispetto d’una frattura a una vertebra. Ecco la grandezza dei ciclisti!”.