Seconda metà dell’Ottocento. Torino. La Torino non più capitale del Regno d’Italia, ma sempre sede della famiglia reale dei Savoia. C’è una donna su una bicicletta. Sbanda, svirgola, scarta. Stenta a trovare l’equilibrio. I passanti si scansano, smarriti, sbigottiti, scandalizzati. Come se quella donna a due ruote fosse diabolica.
Lidia Poet non era diabolica, ma rivoluzionaria. Torinese di Perreno, di famiglia agiata, di tradizione valdese, Lidia si laureò in Giurisprudenza, svolse il praticantato, superò l’abilitazione, ottenne l’iscrizione all’albo degli avvocati, poi la perse in Appello e in Cassazione su ricorso del procuratore generale del Regno d’Italia. Ci sarebbero voluti 35 anni per rovesciare il giudizio della corte di terzo grado. Lei, intanto, appoggiandosi al fratello avvocato, si era già impegnata a difendere soprattutto i diritti di donne, minori ed emarginati.
Una miniserie televisiva su Netflix, “La legge di Lidia Poet”, ne moltiplica finalmente la conoscenza. Otto puntate, ciascuna di una cinquantina di minuti, ispirate alla sua storia e poi ricamate e romanzate secondo le regole dello spettacolo. Tanto che la ricostruzione storica è stata criticata dai pronipoti della famiglia Poet, sorpresi e anche scioccati dalle scene, diciamo disinvolte, della vita privata dell’avvocata. Però Matilda De Angelis, l’attrice (e anche cantante) che interpreta Lidia Poet, dà un’anima al personaggio: etica, intuito, coraggio, ostinazione, anche sensibilità e bellezza. E la miniserie sta conquistando non solo la platea italiana. Il finale – Matilda/Lidia indecisa se salire una carrozza che la porterà a un treno, e il treno a una nave, e la nave a New York oppure rimanere a Torino – promette già una seconda serie di puntate.
Non è l’unica scena, quella dei zigzag in piazza, in cui compare una bicicletta: per esempio, quando Lidia viene accompagnata in città seduta sulla canna, o quando il fratello Enrico rovescia la bici e sistema la catena. Ma la scena di lei che semina il panico in bicicletta è perfetta per ricordare l’atmosfera di quel tempo, ritrarre il carattere ribelle della protagonista e delineare la natura giudicata perfino sovversiva delle due ruote. Un’Alfonsina Strada con pizzi e merletti, non contadina, ma con la stessa voglia di decidere la propria vita e fare la propria strada. Anche a forza di pedali.