Eolo non è solo il re dei venti, procede spedito anche nel mondo del ciclismo, nonostante questa squadra sia nata da poco, nonostante al Giro fosse la formazione più giovane e inesperta di tutto il gruppo. Una vittoria di tappa sullo Zoncolan, con il giovane scalatore bolognese Lorenzo Fortunato, poi una serie di piazzamenti, e tante fughe, con un 16° posto finale sempre con il ragazzino di Castel de Britti.
Il re del vento è Eolo, ma “il ragazzo che catturò il vento” è Luca Spada: classe ’73, varesotto, nato e cresciuto a Malgesso e oggi di stanza a Casciago. Sposato e padre di tre figli (Giulia, Alessandro e Matteo), fondatore nel 2006 di Eolo, azienda che sta rivoluzionando le telecomunicazioni, main sponsor della Eolo-Kometa, la squadra rivelazione all’ultimo Giro d’Italia.
Come nasce la sua passione per il ciclismo?
«Inizialmente, in verità, è corsa a piedi: tutta colpa di Giulia, mia figlia».
In che senso, scusi?
«Mi sfida a fare una corsa nei prati e me le suona. Lei all’epoca era poco più di una bimba, io un quarant’enne di 86 chili privo di fiato e resistenza: non in formissima. Decido di andare a fare degli esami, mi trovano un’intolleranza al lattosio. Mi metto in riga e perdo subito 5 kg. Ed è in quel momento che, grazie ad un amico, scopro lo sport. Corse a piedi e poi maratone, cento UltraTrail e per tre volte la massacrante Tour de Geants - 340 km in sette giorni con 35mila metri di dislivello e 22 montagne in Val d’Aosta -. Oggi sto bene e peso 67 kg».
E il ciclismo?
«Ad un certo punto, dopo otto anni di trail, con l’avanzare degli anni il mio coach mi consiglia che correre solo a piedi. Alla mia età è troppo usurante e quindi mi consiglia la bicicletta. Fino a quel momento non ne avevo mai cavalcata una, se non da bimbetto la mia Bmx. La prima è in carbonio ed è pure usata. Una Cannondale di dieci anni, ma è sufficiente per prendere confidenza con il mezzo, le tacchette e imparare a cadere. In un amen mi appassiono a questo sport fantastico. Dopo neanche un anno mi iscrivo alla Gran Fondo Tre Valli Varesine, al termine della quale mi avvicina Renzo Oldani, l’organizzatore, il quale mi invita a casa sua perché vuole presentarmi un suo caro amico: Ivan Basso. E lì inizia tutto».
Come fa Ivan a convincerla della bontà del progetto?
«Parliamo, parliamo tanto, e poi alla fine ci scambiamo i numeri telefonici e ci ritroviamo. Mi spiega il progetto che ha avviato con la squadra di giovani assieme ad Alberto Contador. Mi invita anche ad un raduno del team ad Oliva, in Spagna, dove conosco tutto lo staff e gli sponsor. L’idea comincia a piacermi, e decido di affiancarli con il nome della mia azienda. Poi però Ivan è bravo a mandarmi anche delle buone suggestioni…».
Di che tipo?
«Mi dice che lui trova nella realtà Eolo tante analogie con la sua Liquigas. “Loro portavano il gas dove non arrivava il gasdotto, e tu invece porti internet dove gli altri non arrivano”, mi dice. E la cosa comincia a piacermi e a muovermi sempre di più qualcosa. Fin quando arriva il Covid».
Un colpo per tutti.
«Ma anche una opportunità. Ivan difatti mi chiama, due dei suoi sponsor sono in difficoltà, non sa come andare avanti e io in quel momento prendo il coraggio a due mani e gli dico: va bene. Convinco Pedranzini, il signor Kometa, a seguirmi in questo progetto triennale e oggi posso solo dire che sono felice di averlo fatto».
Un Giro pazzesco.
«Ho vissuto quindici giorni con la squadra, e per me è stata una grandissima emozione. Tre tappe le ho corse anticipandoli sulle strade “rosa” e me la sono goduta: i meno esperti mi confondevano con un corridore vero Eolo. Ma io vado piano, ma lontano…».
Che idea si è fatto del ciclismo?
«La squadra è come la nostra azienda, condividiamo gli stessi valori: è molto interessante e credo che ci investiremo sempre di più».
In pochi mesi la vostra maglia azzurra, pulita ed elegante è già diventata un oggetto iconico, di culto.
«Ci abbiamo lavorato tre mesi e penso che sia venuto fuori proprio un bel prodotto».
Il vostro “claim” è: dove gli altri non arrivano. Voi ci siete arrivati, anche prima di altri.
«Gestendo una grande azienda e già spendendo ingenti capitali in pubblicità, ci siamo affidati a professionisti della comunicazione e del marketing. Noi essendo un brand già conosciuto e affermato, dovevano partire con il piede giusto. Dovremmo esserci riusciti».
Come si vede nel mondo del ciclismo nell’immediato futuro?
«Lo sport e l’alimentazione sono per noi i principi fondamentali per vivere bene e per raggiugere il successo e la felicità sia personale che aziendale. Il nostro concetto di “benefit corporation” non è solo quello di pensare ai profitti e ai ricavi, ma anche quello di avere un tornaconto positivo sull’ambiente e sulle persone. Questo è il mio sogno, questo è il nostro obiettivo».
È ipotizzabile una declinazione del team Eolo anche al femminile?
«Ci stiamo lavorando. È più di un’ipotesi».