Bene, abbiamo un nuovo presidente - tanti augurissimi a Cordiano Dagnoni, ne ha un certo bisogno -, e subito a seguire ci troviamo davanti una seconda questione: avremo anche un nuovo ct? Per fortuna qui non funziona come nella politica, luogo selvaggio in cui chi vince mette subito mano alle partecipate del parastato per piazzare le sue truppe cammellate, vedi Rai e similari, anche se al posto di qualche capace finisce qualche idiota patentato. In questo caso, Dagnoni non necessariamente deve subito consolidare il suo potere ribaltando tutto quello che c’era prima. Anche perché, nel caso specifico, la gestione Di Rocco non è neanche così estranea alla nuova gestione.
Non è un automatismo politico, eppure la questione si pone: avremo un nuovo ct? La domanda in fondo aleggia già da tempo. Il problema adesso non è tanto se Dagnoni ami o non ami Cassani, il problema è semplicemente Cassani. Da questo punto di vista, anche se ci fosse ancora Di Rocco, anche se fosse arrivato Martinello o fosse arrivata la Isetti, non ci sposteremmo di una virgola: bisogna o non bisogna cambiare il ct della nazionale?
È un caso veramente singolare. Perché non si tratta di trovare il modo più elegante e meno volgare di cacciare un tecnico incapace, ma di utilizzare al meglio il tipo che c’è. Proprio così. Tutto deve fare la Federazione, nuova o vecchia che sia, fuorché privarsi di Cassani. Amici e nemici suoi, tutti non possono che essere concordi su una fatto decisivo: Davide si sbatte da matti per il ciclismo, ne è un innamorato pazzo, con l’aggravante - l’accrescente - che per i colori azzurri si butterebbe nel fuoco, magari cosparso di kerosene. Non è una diceria, è una realtà provata: quando vede azzurro, il Davide si mette a disposizione per qualsiasi cosa, qualsiasi ruolo, qualsiasi mansione. Bagnerebbe i gerani quando gli uffici chiudono per ferie, se glielo chiedessero. Legherebbe le scarpe ad Archetti, se il meccanico avesse il colpo della strega. Cassani è questo, Cassani è così. Non c’è alcun bisogno di altre prove. Così come non c’è bisogno di altre indagini per riconoscere che qualche cattiveria messa in giro dai suoi nemici ha un certo fondamento: sì, Cassani fa troppe cose. Lo sa lui per primo, sapendo di essere un iperattivo naturale, con l’aggravante - questa è una cattiveria tutta mia - d’essere il prototipo (versione turbo) di quel genere d’uomo che non sa dire no. Mai, a nessuno. E questa, per me, resta una colpa, non una virtù.
E allora, che fare. Tenerci il ct multitasking, spalmandolo in duemila funzioni, oppure trovare il modo di utilizzarlo ancora meglio, magari sgravandolo un po’? Posto che non gli chiederemo di bagnare i gerani quando gli uffici sono chiusi, bisogna pensare a un altro Cassani, a un nuovo Cassani, a un ridisegnato Cassani. Questo, se fossi Dagnoni, farei io.
Certo, per prima cosa chiederei all’interessato che cosa abbia in testa lui. Che cosa preferisca fare, che cosa lo motivi di più, che cosa lo coinvolga di più. Se la risposta di Davide, conoscendolo, fosse “tutto”, allora prenderei in mano io la situazione e proverei a resettarlo. A questo punto, subentrano valutazioni e opinioni personali. Dagnoni certamente ha le sue, che ora sono sovrane. Le mie non interessano molto, ma questo non mi impedisce di esprimerle, così, per il puro gusto della circolazione d’idee: libererei Cassani di tutte le incombenze minime che costano molto tempo e molta fatica, chiedendogli di concentrarsi nella stanza dei bottoni, in un ruolo di governo del movimento azzurro, di supervisione globale, considerando la nazionale come un corpo unico, che parta dai ragazzini agli inizi e arrivi ai campionissimi d’alta gamma. Non è un’idea nuova, se ne parla da tempo: ma questo è il momento di metterci mano. Una visione unica serve come il pane, per evitare che ogni fascia d’età e ogni livello diventino repubbliche autonome, scollegate dalle altre, magari orticelli personali di qualche piccolo ras che va dalla sua parte senza rendere conto a nessuno.
Cassani è all’altezza di questo compito operativo, in stretto collegamento con il capo politico. Cassani sguazza alla grande in tutte le pieghe del movimento, è preciso e pignolo quanto basta per ficcare il naso in tutte le questioni, a fin di bene, tenendo le fila tra le miriadi di realtà locali e nazionali. È organizzatore e anche inesauribile promoter, nel senso che come promuove lui il ciclismo, a livello agonistico e a livello sociale, attualmente non lo promuove nessuno, in Italia.
Di fatto, è un ruolo che ha avviato in modo artigianale Alfredo Martini, e che poi Cassani ha perpetuato nel tempo, passando per Ballerini (Bettini no, Bettini si è concentrato sull’ammiraglia). Ma sempre sottotraccia, improvvisandosi, adattandosi, sacrificandosi. Diciamo un volontariato a tempo pieno. È il caso di sacralizzarlo. Certo, salendo di un gradino, al soglio di coordinatore, o direttore generale, o capo supremo come vogliamo chiamarlo, Cassani dovrebbe porsi lui per primo il problema della nazionale Professionisti. Secondo me, dovrebbe lasciarla nelle mani di un ct solo ct: tuttobiciweb ha già avanzato il nome ideale, per meriti e per competenze, il popolare Martino Martinelli. Ma è una soluzione. Dagnoni può trovarne altre duemila.
L’ importante è che su Cassani non cada la mannaia di un feroce detto antico, promoveatur ut amoveatur, tradotto in soldoni promuovere qualcuno per levarcelo dai piedi. Tecnica diffusissima, che ha portato mandrie di vere bestie in posti delicatissimi. Cassani no, Cassani deve salire per rendere ancora meglio, nell’interesse di tutti quanti. Io, amico o nemico, un Cassani me lo tengo strettissimo.
da tuttoBICI di marzo