Dopo aver letto ieri le parole del medico dietologo esperto in nutrizione sportiva Luca Mondazzi, oggi diamo spazio al professor Fabrizio Angelini, specialista in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell'Università di Pisa. Il presidente della Società Italiana di Nutrizione dello Sport e del Benessere (SINSeB), responsabile per l'Italia dell'International Society of Sport Nutrition (ISSN), dell'area nutrizione di Juventus FC e Vr46RidersAcademy, è intervenuto in occasione del webinar “Sistema immunitario: nutrizione e sport” organizzato da Zone Academy.
Nei primi decenni del secolo scorso la Vitamina D fu definita la Vitamina della Luce Solare poiché fu correlata ai miglioramenti dei pazienti affetti da rachitismo e tubercolosi che risentivano positivamente dell’esposizione ai raggi solari nei cosiddetti ospedali elioterapici.
La Vitamina D non può essere considerata solamente un micronutriente, anche se il suo insufficiente apporto con la nutrizione può causare patologie carenziali, ma dobbiamo definirla più correttamente nella sua forma attivata un ormone secosteroideo con una serie di azioni evidenziate in letteratura a livello muscolare, ormonale, metabolico e del sistema immunitario molto interessanti a livello di performance fisica e sportiva. Il 90% della secrezione della Vitamina D è legata all’esposizione solare, il restante 10% circolante proviene dagli alimenti che ne sono ricchi quali fegato, oli di pesce (soprattutto quello di fegato di merluzzo), pesci grassi come salmone e sardine, latte e derivati (soprattutto il burro), e uova mentre sempre in alcuni di questi alimenti, per esempio latte e yogurt, possono essere ulteriormente arricchiti con Vitamina D in una forma di “alimento funzionale”.
La quantità di Vitamina D nel sangue è influenzata da vari fattori tra i quali il sesso (quello femminile è più predisposto all’ipovitaminosi D), la ridotta esposizione alla luce solare (correlata spesso al cambiamento dello stile di vita), la latitudine, la stagione (con quella invernale più a rischio), l’aumentata pigmentazione cutanea (ad esempio nelle persone di colore), la dieta, l’aumento del tessuto adiposo, la ridotta funzione renale, l’età ed anche il polmorifismo genetico legato alla proteina legante l’ormone che ne permette il suo trasporto nel corrente ematico. Il livello desiderabile nello sport ma anche nella clinica è di almeno 50 ng/ml. La vitamina D mostra un ampio spettro di azioni tramite un recettore nucleare (Vitamin D Receptor o VDR) di cui sono stati identificati diversi polimorfismi genetici localizzati sul cromosoma 12 due dei quali potrebbero influenzare non solamente la densità ossea ma anche la composizione corporea, la risposta all’esercizio fisico e la forza muscolare.
L’insufficienza o il deficit di Vitamina D sono state correlate anche a numerose patologie metaboliche dall’obesità al diabete II, a patologie autoimmuni dalle tireopatie alle connettivopatie, alla depressione, alla prevenzione delle patologie infettive delle alte vie respiratorie e tubercolosi. Recentemente è stata inoltre posta l’attenzione su come un deficit di Vitamina D potrebbe influire sia sul contagio che sul decorso della pandemia da Covid 19.
Tenendo conto dunque di tutti questi dati l’interesse per lo studio della Vitamina D nella performance sportiva è giustificato dall'effetto positivo sulla struttura ossea e diminuzione del rischio di frattura sia traumatica che da “stress” legate ad esempio ad attività sportive di endurance; sulla diminuzione della sintomatologia dolorosa ossea e muscolare; sulla diminuzione degli infortuni muscolari; sull'aumento della forza muscolare per una possibile azione favorente la differenziazione delle cellule muscolari (partendo dalle cellule satellite) indotta dall’esercizio fisico soprattutto quello di “contro-resistenza” e possibile influenza positiva sulla performance sportiva; sull'azione regolatrice e modulatrice sui processi infiammatori e di stimolo su quelli immunitari messi entrambi a rischio durante la performance sportiva a elevata intensità e ritmo.
La supplementazione della vitamina D deve sempre essere personalizzata e valutata in base al suo monitoraggio nel sangue e sembra che la supplementazione giornaliera sia migliore rispetto a quella settimanale, mensile, tri o semestrale.