C’è un altro Vincenzo Nibali. Stessa latitudine e stesso accento. Stessa fame, dentro, e stesso fuoco, fuori. Stessa passione e stessa voglia. Stessa forza e stessa energia. Stessa modestia, terra-terra, forse anche stessa timidezza,almeno di partenza. E stessa devozione alle due ruote, ma non le stesse ruote. E non lo stesso motore.
C’è un altro Vincenzo Nibali, si chiama Tony Cairoli, è il fuoriclasse del motocross. Stessa latitudine e stesso accento: da Patti, in provincia di Messina. Separati alla nascita, si direbbe, non per la somiglianza fisica, comunque tutti e due asciutti e nervosi, resistenti e tenaci, ma per le strade e le piste della vita. Vincenzo a furia di pedali, Tony di salti e acrobazie.
“Velocità Fango Gloria” (Rizzoli, 286 pagine, 18 euro) sono, in tre parole, i 33 anni di vita di Cairoli. Come per Vincenzo, l’eredità paterna: “Raccontava sempre del gioco, se così possiamo chiamarlo, che faceva con altri due o tre amici: percorrere un tratto di strada rettilineo impennati su una ruota per poi sfilare le chiavi e inserire il bloccasterzo, in modo da dimostrare chi avesse più… be’, diciamo coraggio”.
Come per Vincenzo, il talento naturale: “Non avevo ancora 10 anni, ma nel panorama locale ero già considerato qualcosa di più che un giovane promettente. In paese e nei comuni limitrofi la voce aveva cominciato a diffondersi: ‘A Patti c’è un picciottu che con la moto da cross fa cose mai viste prima!’”.
Come per Vincenzo, il sostegno familiare: “Andare alle gare era una sorta di rito collettivo, una specie di gita fuori porta, a cui partecipavano tutti gli appartenenti al clan: i miei genitori, le mie sorelle, con relativi accompagnatori, gli amici di famiglia e chiunque volesse seguirci. Il corteo partiva da casa nostra: le macchine ricolme di ogni sorta di prelibatezze e le moto smontate nei portabagagli, o appese fuori, alla volta delle piste di tuta l’isola”.
Se non fosse diventato un campionissimo (nove titoli mondiali, stessa cifra raggiunta da Valentino Rossi nel motociclismo), forse Tony Cairoli avrebbe fatto concorrenza a Nibali con le ruote sottili, o a Marco Aurelio Fontana con quelle grasse. Tant’è che la bici gli è compagna e amica, se non proprio fidanzata o amante, come strumento di allenamento: “La mia vita non è mai stata simile a quella dei miei coetanei”, come per Vincenzo: “Il tempo da dedicare all’ozio, al gioco e alle relazioni con gli altri è sempre stato ridotto al minimo. Da bambino non c’era giorno che non tornassi da scuola desideroso di andare a girare, era una necessità ludica, era il mio passatempo preferito, ma non sempre era possibile farlo. Poi, da ragazzo, è diventata una vera e propria esigenza. Allenarsi in moto faceva parte della routine di sportivo”. Sostituite “moto” con “bici” e la differenza di identità è annullata.
E ancora, come per Vincenzo, all’inizio: “Non ho mai avuto un preparatore, un allenatore, un massaggiatore, un dietologo, ho sempre fatto tutto di testa mia: seguendo le mie sensazioni e quello che mi diceva il mio corpo. Ascoltare il proprio corpo è fondamentale per capire di cosa si ha bisogno”. E, sempre come per Vincenzo, “io mi sono praticamente sempre divertito, un allenamento per me è un piacere, prendere la bici e ritrovarsi affacciati dopo una lunga pedalata su un paesaggio meraviglioso ripaga di tutti gli sforzi, correre e sentire che la nostra ‘macchina’ funziona a meraviglia e che si entra in quello stato di benessere che solo chi corre a piedi conosce, o ancora di più, prendere la moto da enduro”, per Vincenzo la mountain bike, “e andare alla scoperta di nuovi angoli del mondo che ci circonda, perdendosi tra boschi e sentieri nascosti”.
“Velocità Fango Gloria”. E poco cambia se la velocità di Tony è a cavalli vapore e quella di Vincenzo a watt, se il fango di Tony affonda nelle piste e quello di Vincenzo schizza dalle strade, perché il risultato finale, almeno nel loro caso, è comunque la gloria.