Sono vertiginose come una cattedrale gotica, preistoriche come un titanosauro della Patagonia, misteriose come un dogma o il destino. E poi sono verticali, rettili, altezzose, superbe, prestigiose, titolate, fossili, aeronautiche.
Sono prove di agilità e fondo, leggerezza e volontà, coraggio e incoscienza, sopravvivenza e agonia. E poi sono prove dell’esistenza di Dio, se non il titolare enciclopedico, almeno quello specializzato nel ciclismo.
Sono epiche come una fuga di Gino Bartali, poetiche come un volo di Fausto Coppi, spettacolari come un assolo di Marco Pantani. E poi sono storie, tante storie, infinite storie, una storia per chiunque le affronti a forza di pedali.
Le salite stanno al ciclismo come le discese allo sci, come le curve a Indianapolis, come i fuoricampo al baseball, come il campionato dei pesi massimi al pugilato. E stanno su un nuovo libro – “Le salite più belle d’Italia” (Rizzoli, 318 pagine, 18 euro) – che merita di essere spiegato.
Lo hanno scritto Davide Cassani e Beppe Conti. Cassani è l’Italia in bicicletta: commissario tecnico della Nazionale italiana professionisti su strada e supervisore di tutte le squadre azzurre, divulga sostiene promuove il ciclismo alla radio e in tv, in sella o in teatro, sui giornali e sulle riviste, fra i dilettanti e i granfondisti, nelle aziende e nelle scuole, non c’è giorno in cui non si moltiplichi per testimoniare o presenziare, se fosse jazz potrebbe anche essere un “one-man-band”. Conti – che da ragazzo, non dimentichiamolo, frequentava la “parrocchia” della pista – pedala nel mondo del ciclismo da una vita, prima nei quotidiani, adesso nella tv, sempre nei libri, e fra i più recenti, per fare un esempio della sua strabiliante resistenza, c’è “Mangiare, bere e… pedalare”, i ristoranti del grande ciclismo (Graphot).
Libri sulle salite, libri sulle salite più belle, anche libri sulle salite più belle in Italia, non è una novità cicloletteraria: di guide con altimetrie e planimetrie se ne producono ormai da quasi mezzo secolo. Ma questo ha qualcosa di più, di diverso, di meglio. Ciascuna salita Cassani prima la fa a memoria, e la affresca, poi la fa a pedali, e la descrive, quindi Conti la fa a storia e storie, e la narra. Così di uno Stelvio, mappato nell’altimetria (da Bormio e da Trafoi), Cassani prima ritrova l’impresa di Arnaldo Pambianco (Giro d’Italia 1961) e il duello tra Fausto Bertoglio e lo spagnolo Francisco Galdos (Giro d’Italia 1975), poi la scala (“Sono sul rettilineo più duro di tutti. Mancano 10 chilometri e ho visto un 10% di pendenza sul mio computerino. Anche la velocità è calata: ora vado ai 10 orari e sto usando il 34x27”), quindi Conti ricama nella leggenda di Coppi alla penultima tappa del Giro d’Italia 1953 (“Quel mattino- le parole di Ettore Milano, gregario del Campionissimo – al raduno di partenza erano tutti attorno a Koblet in maglia rosa. Aveva gli occhiali scuri e non se li toglieva mai. Glieli sfilai io, con la scusa di fare una foto accanto al vincitore del Giro d’Italia. E scoprii occhi fondi, come diciamo noi, segnati, stanchi, come di chi non ha riposato bene la notte…”).
Quindici le salite: oltre allo Stelvio, anche Sestriere, Colle delle Finestre, Colle Fauniera, Colle dell’Agnello, Gavia, Mortirolo, Pordoi, Passo Giau, Passo Fedaia, Tre Cime di Lavaredo, Monte Zoncolan, Abetone, Terminillo e Etna. E questo significa che è già nell’aria il secondo volume dedicato ad altre 15 salite più belle d’Italia.