Zurigo, Svizzera. Sabato 25 agosto 1923. Mondiali di ciclismo su strada, a quel tempo riservati esclusivamente ai dilettanti. Piove. Un corridore azzurro, forse ancora insonnolito, forse distratto, cade. Lui, un ginocchio ammaccato, sanguinante. La bici, una pedivella storta, contorta. Mancano dieci minuti al via. Entra in una officina. Chiede aiuto, nessuno lo capisce. Allora prendere pinze e martello, aggiusta, si precipita al pronti-via. Ultimo alla partenza, primo all’arrivo.
Libero Ferrario è stato celebrato mercoledì scorso, alle 10.30, nella Sala consiliare del Comune di Parabiago, in piazza della Vittoria 7, con l’emissione di un francobollo dedicato a lui e alla sua impresa iridata. Ferrario nasce a Parabiago 22 anni prima, il 24 giugno 1901, quarto dei cinque figli di una famiglia benestante, il padre commerciante di vini all’ingrosso e già sindaco della stessa cittadina del Milanese. A otto anni Libero scopre il fascino del ciclismo: si disputa la Tre Coppe di Parabiago, 240 km, primo Canepari, secondo Galetti, terzo Oriani, un podio – lombardo - di campioni. Ma la folgorazione si accende alla vigilia, quando Giovanni Gerbi, il Diavolo Rosso, seduto al Caffè Centrale di Parabiago, fa l’occhiolino a Libero, gli allunga una moneta da 20 centesimi e gli chiede di comperargli “La Gazzetta dello Sport”. Libero vola, acquista, torna. Gerbi gli dice grazie e gli lascia tre soldi di resto. Libero, già sazio dell’imprevisto incontro e forse anche dell’insperato ringraziamento, rifiuta, quasi offeso.
Buon corridore, Ferrario. Nel 1922 coglie la prima grande vittoria, la Coppa Bernocchi. Nel 1923 s’impone nella Cremona-Vernasca-Cremona, poi nella Cento Chilometri a coppie di Cremona, e il suo compagno è Tito Brambilla, nonno di Beppe Saronni, quindi domina nella Coppa Gloria, nel Circuito Brianteo e nella Coppa di Busto Arsizio, prima di eccellere ai Mondiali. Il 1924 è meno fortunato: quarto ai Mondiali, però primo nella Tre Valli Varesine e nella Coppa del Re. Il fato lo aspetta poco tempo dopo: Libero, prigioniero della tisi, muore a neanche 29 anni.
Ma Parabiago e il ciclismo non lo hanno dimenticato. Il francobollo e due anni fa, un libro, “L’Italia che vola” (Ediciclo, 176 pagine, 18 euro), in cui si legano a Parabiago due cittadini, corridori e campioni del mondo: Libero Ferrario nel 1923 e Beppe Saronni nel 1982. “Libero corre ancora nelle strade silenziose della memoria – scrive Claudio Gregori -. Solleva nuvole di polvere. Sfida le sciabolate della tempesta. Alimenta la nostalgia, certo, ma anche la speranza. Pensando a lui, infatti, ci sostiene un pensiero di Jerome Klapka Jerome: ‘Speriamo in un aldilà dove si trovino sellini di biciclette fatti di arcobaleni e imbottiti di nuvole’. Libero è là. Con la sua maglia arcobaleno. Immortale”.