Era in fondo a un pozzo. Nero e misterioso. Senza capire e senza vedere. Sentiva solo puzza di topo. Adesso è come se si stia risvegliando, come se stia resuscitando. E lentamente, molto lentamente, recupera briciole, morsi, pezzi di memoria.
E’, forse era, un corridore, un corridore professionista, un corridore professionista bravo. Un corridore professionista bravo, ma entrato nel sistema – un gorgo - del doping. Anfetamine, integratori da additivi a stupefacenti, eritropoietina, emotrasfusioni, anche cocaina e derivati. Seguendo le istruzioni. Tempi e dosaggi. Finché qualcosa si rompe. E allora il precipizio, il baratro, il cortocircuito, il coma. Il fondo del pozzo.
Giulio Ardinghi racconta questo “Ritorno dal pozzo più oscuro” (Edizioni Messaggero Padova, 128 pagine, 10,50 euro). La confessione del corridore a se stesso, forse solo a se stesso, per cercare di capire quello che non aveva voluto capire, e per cercare di fare quello che non aveva mai osato fare, spezzare il silenzio, l’omertà, la complicità, l’ipocrisia, la falsità di un modo, e anche di un mondo, dove le scorciatoie chimiche sono state troppo a lungo tollerate.
Il libro, del 2020, si legge d’un fiato. Romanzata, la storia sa tanto di verità. “Sapevo che correre non è mai contro qualcuno, perché la gara la stai facendo prima di tutto in concorrenza con te stesso”. “Un ciclista che corre ha un orizzonte privatissimo, tutto suo. E’ l’orizzonte formato dallo sguardo che oltrepassa il manubrio stretto dai pugni e va oltre al massimo un po’ di metri. Non di più”. “Si sa che la ricerca cammina a velocità doppia, tripla, cento volte più forte di qualsiasi gruppo di chimici pagati da una federazione”. “Chi non ha problemi è lo stratega. Quello che ci mette i soldi e all’occorrenza può dichiarare di non saperne assolutamente niente”.
Non è la prima volta che si descrive il precipizio nel fondo del pozzo. Mauro Covacich lo aveva scelto come tema del suo romanzo “A perdifiato” (Mondadori, 2003) ambientato nel mondo della corsa, quella a piedi, dal fondo alla maratona. Stesse tentazioni, stessi cedimenti, stessa scientificità, stessa immoralità. Ce la farà il nostro anti-eroe a salvarsi e sopravvivere? Direi di sì. Ce la farà a redimersi e tornare alle corse? Direi di no. E’ l’autore a lasciarci immaginare il finale.
Si sa quanto il proibito, il torbido, il marcio attiri più del buono. Ma sarebbe gratificante, un giorno, poter leggere e scrivere di un romanzo in cui si approfondisca anche la purezza del ciclismo (e non solo quella della bicicletta). Oggi ce n’è certamente più di ieri.