BICIFIGURINE: JULIO JIMENEZ, L'OROLOGIAIO DI AVILA.
di Stefano Fiori
Estate, spiaggia di Cervia/Milano Marittima, anni '60 di un secolo fa. Pista sabbiosa, sinuosa, interminabile, piena di insidie subdole e artificiali (curve e controcurve anche a 360°, cunette, buche, salitelle che apparivano e scomparivano, in perfetto stile Qatar) approntata per lanciare più veloci possibile le famigerate palline di plastica contenenti le foto dei ciclisti più famosi del momento, questa volta impegnati negli improbabili Giri d'Italia e Tour de France sulla sabbia della costa Adriatica.
Scelgo sempre due palline con le foto di Franco Bitossi e di Julio Jimenez che – altra situazione molto improbabile – spesso risulta vincitore allo sprint. Due campioni, i miei primi idoli nel ciclismo e così arriva il momento di celebrare il minuscolo, battagliero scalatore spagnolo, scomparso l'8 giugno scorso a seguito di un rocambolesco incidente all'uscita di un autolavaggio, ad Avila.
E proprio ad Avila, città pittoresca dalle celeberrime mura nella regione spagnola Castilla Y Leon, nasce il 28 ottobre 1934 Julio Jimenez Munoz ed ha come genitori Abilio, autista di autoambulanze, e Gregoria, casalinga e donna delle pulizie per famiglie facoltose. Due le sorelle minori, Maria Sonsoles e Maria Teresa. Lo zio Demetrio possiede una minuscola ditta di... trasporti, costituita da un carretto e due mucche e proprio lui – che spesso portava con sé il piccolo Julito nei suoi “viaggi di lavoro” – inculca nel giovane nipote l'interesse per il ciclismo.
La prima bicicletta arriva all'età di 10 anni, quando un tal generale Baudin gli fa dono di una piccola bici di colore nero, a mo' di ringraziamento per l'ottimo lavoro svolto da mamma Gregoria a casa sua. Gli anni trascorrono lenti e nel 1950 il cugino Angel apre ad Avila un negozio per la riparazione di orologi e assimilati, nel quale inizia a lavorare anche Julio che in tal modo riesce a finanziarsi l'acquisto di una bici con la quale cominciare l'attività agonistica, il suo unico sogno.
Un obiettivo che viene centrato nel 1951, quando Julio inizia a gareggiare nelle corse locali, indossando a turno una maglia senza scritte o addirittura la casacca dell'Atletico Madrid. La prima vittoria giunge nel 1952 a San Pedro del Arroyo e, rotto il ghiaccio, altri successi – spesso per distacco – arrivano negli anni successivi fino al 1954, l'anno del “salto” nella categoria degli Indipendenti.
In quel periodo il ciclismo spagnolo sembra in ripresa dopo anni di buio fitto, dovuto agli strascichi della sanguinosa guerra civile. Julio talora deve fronteggiare soprattutto Bernardo Ruiz, Jesus Lorono e l'astro nascente Federico Martin Bahamontes. Ma non si scoraggia mai, dall'alto di un carattere aperto, sempre tendente all'ottimismo. Così, dopo tre anni da Indipendente assai positivi, durante i quali ottiene la prima vittoria importante nella quarta tappa del Giro di Catalogna 1960, nel 1962 diventa realtà il tanto sospirato passaggio al professionismo con l'italianissimo marchio Faema.
La via è tracciata e fino al 1969, l'anno in cui appenderà la bici al chiodo, Jimenez conquisterà un campionato spagnolo su strada, due campionati spagnoli della montagna, cinque tappe al Tour de France, quattro al Giro d'Italia, tre alla Vuelta di Spagna, la classifica finale del GPM al Tour (3) e alla Vuelta (4). Complessivamente le sue vittorie come Indipendente e Professionista ammonteranno a 66.
Snello, di piccola statura (era alto 1 metro e 63 cm), scalatore eccezionale, la sua caratteristica era l'andatura “en danseuse”, sfoggiata sulle salite a lui quasi sempre amiche. Veste maglie di team gloriosi come Kas, Ford France e Bic. Nel Giro 1966 vince due tappe e indossa per 11 giorni la maglia rosa, prima di abdicare a causa di un discutibile gioco di squadra al quale deve sottostare per favorire il suo capitano nella Ford France, il grande Anquetil, che invece non può nulla contro la coalizione degli italiani e la tenacia di un sorprendente Gianni Motta.
Altra occasione persa al Tour 1967, vinto dal francese Roger Pingeon principalmente grazie ad una fuga-bidone nella tappa pianeggiante, ma con il pavé, di Jambes. “L'orologiaio di Avila” in forza alla Bic tenta di recuperare lo svantaggio nelle tappe di montagna, ma riesce soltanto a conquistare il secondo posto nella generale, con il ritardo di 3'40”.
Specialista dei grandi Giri a tappe, partecipò a 5 Tour, ottenendo un 7° posto nel 1964, un 2° nel 1967 e un 13° nel 1966. Al Giro fu 4° nel 1966, 10° nel 1968 e 36° nel 1969. Sei le partecipazioni alla Vuelta, con il 5° posto nel 1964 quale miglior piazzamento. Jimenez avrebbe sicuramente potuto ottenere molto di più senza quel tallone d'Achille che erano per lui le cronometro.
Per concludere, a fine 1968 il contratto che lo lega alla Bic non gli viene rinnovato, si dice per dissidi insanabili con il grande Gem, al secolo Raphael Geminiani, suo diesse, e Julio si accasa in Italia su proposta del pubblicitario Alceo Moretti, nel neonato team Eliolona, fabbrica leader nella produzione di tende da sole che in seguito confluì nel marchio Zucchi. Una squadra senza troppe pretese, affidata al diesse pistoiese ed ex ciclista Silvano Ciampi che ha come punti di forza oltre a lui, gli svizzeri Robert Hagmann, Bernard Vifian e un “certo” Adriano Amici. L'ultima fiammata di quel grande grimpeur chiamato Julio Jimenez si consuma su di una salita che tanto cara è stata al “Pirata” Marco Pantani, il Monte Carpegna. Al Giro '69 lo scalatore di Avila stacca tutti con il suo caratteristico stile in salita che ricorda da vicino quello del Pirata di Cesenatico e si prende quell'ultimo (per lui) traguardo della montagna, staccando di 30” Guido Neri, Giancarlo Toschi e Vito Taccone. Per la cronaca, termina quel Giro, che può essere definito il suo canto del cigno, al 36° posto ma per l'Orologiaio di Avila fu chiaro che era ormai arrivato il momento dell'addio al ciclismo.