Storie di corse e di corridori, di maglie e di mogli, di tappe e di toppe, di scatti e di cotte, e perfino di qualche vittoria. La prima puntata è dedicata a Giuseppe Fezzardi: il Pepp.
“A quel tempo, anni Cinquanta, c’era solo calcio e ciclismo. Così, se volevi fare uno sport, o il calcio o il ciclismo. Il colpevole fu mio zio Innocente: tifoso bartaliano, mi regalò una bicicletta Cinelli di seconda mano, però in ordine. Cominciai subito a correre e cominciai subito a vincere: 1955, esordiente, tre vittorie, la prima in volata, ma me la cavavo dappertutto. E allora cominciai anche a sognare: diventare un corridore e partecipare al Giro d’Italia. Sogni avverati: 11 anni da professionista e 10 Giri d’Italia”.
Giuseppe Fezzardi: il Pepp. “Papà ferroviere, nella squadra addetta a traverse e rotaie. Mamma casalinga, poi, alla morte di mio padre, chiamata a sostituirlo. Quattro figli, due maschi e due femmine, io il secondo dei quattro, nato nel casello del passaggio a livello della stazione di Arcisate. Studi elementari, poi in officina meccanica, poi in valigeria, lavoravo e mi allenavo, lavoravo e correvo, e smisi di lavorare, era il 31 dicembre 1960, solo quando cominciai a correre da professionista, era il 1° gennaio 1961, e quel giorno mi sembrò di andare in vacanza. Un po’ per la squadra, la San Pellegrino, che ingaggiava i migliori dilettanti, venivo da una stagione con 17 vittorie, compreso un Trofeo Baracchi in coppia con Marino Vigna facendo meglio dei professionisti. Un po’ per il direttore sportivo, Gino Bartali, e pensavo che mio zio Innocente non solo non fosse più colpevole, ma che avesse avuto una specie di illuminazione, o di folgorazione, o di rivelazione, o di annunciazione. E un po’ perché si andò a pedalare in Riviera, non al caldo ma al tiepido, perdipiù pagato per fare una cosa che mi piaceva da matti”.
Il pronti-via fu entusiasmante: “La Due giorni di Bordighera, vinsi la seconda prova. Poi il Giro di Romandia, mi ritrovai in testa, chi è quel ragazzino?, Jacques Anquetil pretendeva un accordo, Bartali gli rispose che la San Pellegrino soldi non ne aveva, allora Anquetil scatenò uno dei suoi, risultato: primo Louis Rostollan, secondo io, terzo Imerio Massignan”. Il prosieguo fu inevitabile: “Gregario. Si inseguiva in pianura, si spingeva in salita, si lanciava in volata. Si assaltavano bar e fontane, si riempivano e si portavano borracce, però anche si rideva e si scherzava. Fra i miei capitani, Rudi Altig, tedesco, una forza della natura. Lui, alle bottiglie di aranciata o chinotto, preferiva le birrette. O, al Tour de France, lo champagne. Lo ordinava in albergo facendolo passare come bistecca. Finché Giorgio Albani, il nostro direttore sportivo alla Molteni, non se ne accorse dal costo degli extra. Una sera si appostò nel corridoio, aspettò il cameriere, poi si fece consegnare il vassoio con champagne e calici e ci bussò alla porta. C’è chi stava addirittura fumando. Quando, invece del cameriere complice, apparve Albani giudice, il primo momento fu di sorpresa, il secondo di paura. Poi Altig disse: ‘Signor Albani, stasera beve con noi?’. E finì in una risata con le bollicine. Però Altig era quello che, prima della tappa di Cesenatico al Giro 1966, siccome veniva la sua morosa dalla Germania, ci predisse: ‘Oggi vinco io’. Fece gli ultimi 10 chilometri con 100 metri di vantaggio davanti al gruppo. E vinse. Ed era quello che prima della tappa di Palermo, con due volte il San Pellegrino, al Giro 1967, ci preannunciò: ‘Oggi rivinco io’. E rivinse”.
Pepp non ha dubbi: “Mi sono divertito da matti. In corsa e fuori dalla corsa. La sera eravamo abbastanza distrutti da non poter svolazzare in giro, solo se c’era qualche miss nel nostro albergo ci comportavamo un po’ da stupidi, ma a parole, per vedere l’effetto che faceva. E i viaggi erano avventure. Per la Parigi-Roubaix si partiva la sera dalla Stazione Centrale di Milano in treno, si viaggiava la notte in cuccetta, si arrivava la mattina alla Gare de Lyon, albergo e ristorante, tende spesse e tovaglioli fini, ‘pardon’ e ‘merci’, poi il giorno dopo era facile trovarsi già nei primi chilometri con le balle all’aria”. E grandi, grandissime soddisfazioni: “Tour de France 1965. La Carpentras-Gap. Il giorno prima avevamo scalato il Ventoux. E prima ancora i Pirenei, un caldo boia, 40 gradi o su di lì, l’asfalto che colava sotto i tubolari. Gruppetto in fuga, sull’ultima salita, il Col de la Sentinelle, il francese Raymond Mastrotto, detto ‘il Toro di Nyon’, scoppiò, rimanemmo io e il belga Gilbert Desmet. ‘Non staccarmi’, mi pregava. Poi, a 200 metri dall’arrivo, cercò di sorprendermi. E mi sorprese. Ma ci misi tutto me stesso, ci misi lo zio Innocente e il suo Bartali, ci misi lo champagne e le bistecche, ci misi le cuccette del treno e le balle all’aria, e vinsi, di un niente, ma vinsi, rimontando il traditore mentre stava per alzare le mani dal manubrio convinto di avermi fregato”.