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UNO SQUALO SOCIAL
di Pier Augusto Stagi | 29/06/2020 | 08:10

Il lockdown ci ha restituito un Vincenzo Nibali nuovo e ai più inedito, che è sbucato fuori dai social con la forza di un Bobo Vieri o di un Francesco Totti. Un Nibali che in questi mesi di inattività forzata si è messo a nudo e si è raccontato parlando di famiglia più che di ciclismo, di biciclette più che di allenamenti, di passioni più che di im­pegni. Un Nibali guascone, divertente e divertito, che ha stuzzicato e si è la­sciato stuzzicare da colleghi-amici, ma che è stato soprattutto al gioco, con il gusto di chi ama da sempre giocare.

Un Nibali scattante e imprevedibile, co­me quello di Sheffield al Tour 2014 o alla Sanremo 2018: una stoccata e via. Fulmineo, repentino e letale come po­chi. È lo Squalo, anche davanti al suo computer, tutto estro e sregolatezza, ta­lento e simpatia. Un incursore nato, nel senso di ospite inaspettato che in questi due mesi abbondanti tutti aspettavano e cercavano nelle dirette Instagram, soprattutto quelle organizzate dall’ex professionista Raffaele Ferrara, che con il suo “Lello Show” si è scoperto a sua insaputa provetto “anchorman”.

«È tutto nato per caso - ci racconta il siciliano, che in questi giorni ha definito e ufficializzato il suo programma agonistico, con il Giro in cima ai suoi pensieri oltre a molte altre corse italiane -. Il blocco per il Covid, anche se a Lugano dove vivo da anni era molto meno rigido che lì da voi in Italia, ci ha portato ad esplorare cose nuove e io e mia moglie (Rachele, ndr) abbiamo sco­perto Instagram, soprattutto la finestra creata ogni sera alle 21 da Lello Ferrara, ex corridore professionista, di una simpatia contagiosa. Così, quasi per scherzo, sono entrato nella sua co­munità e da lì non mi sono più mosso. Non ho fatto nulla per risultare più o meno simpatico, ho semplicemente fat­to vedere quello che sono, il Vin­cen­zo di sempre, che ama ridere e scherzare, come mi succede a casa o con gli amici. Chi mi conosce lo sa, io sono uno che ama divertirsi, anche se molti mi giudicano solo per come sono alle corse. Ma lì è tutta un’altra storia. Lì ci sono la competizione, lo stress, la pressione. Quello è il mio lavoro, ed è chiaro che sia mentalizzato diversamente. Davanti ad una webcam, invece, sono rilassato: lì sono quello che sono».

Pensavi di diventare un fenomeno del web?
«Non esagerare, però è vero che quando entravo gli ascolti crescevano in ma­niera esagerata e spesso mandavo in crash il sistema tanti erano gli sportivi che si collegavano. Però mi è piaciuto un sacco, così come vedere anche tanti colleghi e amici, da Fabio Aru ad Al­ber­to Bettiol, per arrivare a Dome­ni­co Pozzovivo e tanti altri che ci tenevano ad essere con me: insomma, ci sia­mo fat­ti compagnia a vicenda, facendo compagnia. Credo che agli appassionati abbia fatto piacere».

Sei arrivato anche a fare un balletto in pi­giama…
«L’ho detto, sono un po’ matto e un po’ artista: quando arriva il momento ignorante non vedo perché non concederselo…».
Gli appassionati hanno avuto modo di conoscere anche il tuo nucleo familiare: Ra­chele e la piccola Emma Vittoria. E poi le sue innumerevoli passioni…
«Diciamo che io non amo mai stare con le mani in mano, quindi quando sono a casa, una volta che mi sono allenato, sistemo tutto quello che c’è da sistemare. Lavatrice rotta? Si aggiusta. Tapparella? Anche quella la mettiamo a posto. Insomma, faccio di tutto. An­che la bicicletta la sistemo in prima persona e se posso sistemo anche quella di qualche mio collega “svizzero”. E poi mi piacciono l’elettronica, la playstation e le macchine fotografiche. E anche tra i fornelli me la cavo: la pizza mi viene molto bene. Insomma, davanti al web non ho fatto altro che raccontare quello che solitamente faccio».

Ora però si torna a pedalare…
«Come ho detto, noi in Svizzera non ab­biamo mai smesso, però adesso ab­biamo i calendari e anche degli obiettivi. Strade Bianche il 1° agosto, poi tutta una serie di corse, con il Giro d’Italia ad ottobre (dal 3 al 25, ndr). La tripletta rosa? Certo che ci penso, così come al mondiale che spero si possa correre in Svizzera a Aigle-Martigny. È perfetto per me, anche se stanno pensando ad uno spostamento (a no­vembre, in Oman, ndr) e la cosa non mi rallegra neanche un po’. E poi c’è Tokyo. L’oro olimpico di Rio mi è ri­masto lì, dopo quella caduta nel finale che mi ha tagliato le gambe quando ero lanciato verso il traguardo».

Potrebbe essere anche un bel modo di concludere una carriera pazzesca, ricca di Giro Tour e Vuelta, Sanremo e Lombar­dia…
«Se mi sentirò come adesso, con la stessa voglia e lo stesso entusiasmo tiro dritto. Altro che ritirarmi!».

Ottimista per il futuro?
«È necessario esserlo. Come ho detto, da noi in Svizzera il lockdown è stato meno traumatico, i miei allenamenti in bici li ho sempre fatti, anche se però poi sono e siamo stati tutti mol­to attenti e responsabili. Adesso c’è da rimettere in moto tutto il movimento e spero che presto sulle strade possa tornare anche il grande pubblico che per il ciclismo è un elemento davvero fondamentale».

Il Giro patrirà dalla tua Si­cilia…
«Sarà bellissimo. Tre anni fa è stato qualcosa di pazzesco: mai vista tanta gente».

Il calendario ti piace?
«Nella situazione in cui ci siamo ritrovati, sì. È difficile condensare nove mesi di attività in cento giorni, ma in ogni caso trovo più coerente il Giro ad ottobre che il Tour ad agosto. La Gran­de Boucle arriva troppo presto e molti rischiano davvero di saltare per aria. Le classiche del Nord, invece, potevano essere collocate un po’ diversamente».

In questo lungo periodo di attesa, oltre che la mountain bike e i social, hai scoperto anche i rulli.
«Il virtuale non mi appartiene. Mi an­noio troppo, sono uno che deve stare all’aria aperta».

Hai corso la Parigi-Nizza in pieno Covid-19: mai pensato di ammalarti?
«Siamo controllatissimi e devo dire che i nostri team e gli organizzatori francesi hanno fatto tutto quanto era necessario fare per farci correre in si­curezza. Detto questo, la paura è di portare il virus a casa: più che per me, temo per mia figlia e mia moglie».

Hai mai temuto le critiche?
«Qualche volta, adesso ho imparato a gestire anche quelle. Prima me la prendevo molto di più, adesso è come se mi scivolassero sulla pelle».

Le critiche, però, ti hanno anche fatto bene, portandoti al successo.
«Vero anche questo. Le critiche al Giro del 2016, sono state il combustibile ideale per spiccare il volo nelle tappe di Risoul e Sant’Anna di Vi­nadio. Critiche feroci, alle quali io ho risposto come sono solito fare, con grande or­goglio e rabbia».

Lì c’è stato anche un grande Michele Scarponi…
«Impagabile e indimenticabile. Uno dei ragazzi con i quali sono andato più d’accordo e ancora oggi mi manca un sacco. Non passa giorno che non ci pensi, almeno un po’».

Le critiche anche al Tour 2019, prima della vittoria di Val Thorens…
«Cercavo da giorni di portare a casa una tappa, lottavo come un leone, ma al Tour de France nulla è semplice, e anche quella vittoria ottenuta tutta d’un fiato in una tappa ridotta al minimo è stata pazzesca. Sono arrivato spolmonato. Mi sembrava di aver vinto una cronoscalata. Io lepre, inseguito da una muta di corridori inferociti alle mie spalle. Che soddisfazione resistere».

Ora si torna a correre, in una stagione molto complicata e difficile, con una maglia che mi sembra piaccia molto.
«La Trek Segafredo è quello che cercavo e spero di ripagarli con qualcosa di importante».

Al tuo fianco un ragazzo di carattere e talento come Giulio Ciccone.
«In salita va come una scheggia e an­che di testa è fortissimo, deve solo im­parare a gestirsi. In certe occasioni è un po’ precipitoso e impulsivo, ma Giulio c’è e se riesce a prendere le mi­sure, il futuro è tutto dalla sua parte».

Dura stare a casa senza nemmeno uscire una sera per andare a cena fuori?
«Dura andare in ritiro per due settimane sul Teide. Meglio stare a casa con mia moglie e mia figlia: altro che Teide».

da tuttoBICI di giugno

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