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di Cristiano Gatti | 26/03/2020 | 07:55

La guerra degli studi legali a parecchi zeri e delle carte bollate è solo all’inizio, serviranno parecchio tempo e altrettanta pazienza per seguire l’evoluzione della vicenda, ma una conclusione sulla clamorosa vicenda del Manchester City fuori dalle coppe europee possiamo tirarla subito. La estrapolo direttamente dal grande volume dei luoghi comuni, già bella che confezionata, co­sì ci evitiamo gli sforzi di fantasia: alla fine i nodi vengono al pettine. Io ci aggiungerei soltanto questa coda: vengono al pettine persino là dove sembrava impossibile.

Siccome non tutti sono tenuti a conoscere per filo e per segno la faccenda, e siccome nei nostri tempi moderni informarsi per bene è considerata una seccatura inutile, si passa subito alle conclusioni in rete con tanto di commenti dinamitardi, vengo incontro ai volenterosi con una rapidissima spiegazione. Ovviamente non vo­glio correre il rischio di sparare castronerie, così passo a un copia e incolla di chi tecnicamente la sa molto più lunga, chiedendogli scusa in anticipo per la consulenza scippata, senza parcella. Parla Pier­fi­lip­po Capello, figlio di, ma so­prattutto esperto avvocato del ramo: “La decisione si basa su una serie di ‘leaks’, informazioni giunte alla Uefa, che avrebbero dato non il sospetto, come nel caso del Psg, ma la certezza che i soldi degli sponsor arrivavano da soggetti riconducibili alla proprietà stessa. In pratica, le sponsorizzazioni del Manchester Ci­ty non venivano pagate da ve­ri sponsor, ma da società che sono riferibili al principale azionista del club, che in questo modo faceva entrare soldi aggirando le regole del Fair Play Finanziario, che prevedono che l’azionista o il proprietario possano mettere dei soldi nella società solo entro certi limiti: un club, infatti, dovrebbe essere in grado di sostenersi da solo”.

Chiariti i termini della questione, è però di al­tro che vorrei parlare. E cioè di come improvvisamente vada a farsi benedire un’antica certezza, accettata dentro al calcio, ma soprattutto ripetuta con molti risentimenti dagli altri ambienti, ciclismo compreso: vale a dire la certezza che “tanto, con tutti i soldi che hanno, sceicchi arabi e petrolieri russi si comprano tutto, anche il diritto di fare carta da pesce dei re­golamenti sul Fair Play fi­nanziario".

Ma tu guarda la no­vi­tà: persino loro, persino gli sceicchi che comprano tutto e tutti a pacchi di bigliettoni, persino loro possono lasciarci la zampa. Al­le volte, le scoperte: hai vi­sto mai che la giustizia del calcio, del tanto vituperato calcio, abbia stavolta una le­zioncina da impartire al mon­do intero, dimostrando nei fatti che la legge è uguale per tutti, che le regole vanno ri­spettate, che nessuno può sentirsi intoccabile e impunito?

Non sono nato ieri e nemmeno l’altro ieri. So che siamo solo all’inizio, so che magari alla fine delle battaglie milionarie l’Uefa sarà costretta a chiedere scusa e a premiare con una medaglia il Manchester City. Di più: so persino fare dietrologia, quasi come Napalm51 di Crozza, immaginando che dietro a questo duro provvedimento ci sia un sottile gioco tra potenti, in questo caso ci­nesi e fondi americani - a loro volta arrivati nel grande calcio - che si sono stufati di perdere e come prima cosa intendono chiuderla qui con le allegre gestioni degli arabi e dei russi.

Sono sincero: ne sto sentendo di tutti i colori. Ormai il vero sport globale, l’unica disciplina popolare davvero praticata in tutto il mondo, a tutti i livelli, è di­mostrare di saperla più lunga degli altri. Io non mi accodo perché è uno sport che mi an­noia. Preferisco pedalare in bici. Resto però fermo alla mia consolante certezza: a quanto pare, persino nel calcio esiste la possibilità che non si guardi in faccia a nessuno. Il Manchester City vincerà la guerra legale, non è escluso, ma intanto è con le spalle al muro. Tanto mi ba­sta. Poi, l’innocenza dimostrata nei fatti è sempre la benvenuta. Prima, però, an­dia­mo a vedere le carte. Sul piedestallo in ogni caso resta un grande principio: non è vero che i ricchi fanno quello che vogliono, non è vero che con i soldi ci si compra pure l'impunità. A proposito: spero che anche noi del mondo bicicletta possiamo sempre dire lo stesso.

da tuttoBICI di marzo

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