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LA PROMESSA E LA RIFORMA
di Pier Augusto Stagi | 20/06/2019 | 07:54

LA PROMESSA. La speranza è che non sia una promessa da marinaio, perché a farla non è un nostromo, ma un politico, quindi è pure peggio. Però è una promessa, fatta sotto la pioggia torrenziale di Frascati, zone di Marco Porcio Catone, detto il Censore, che di politica ne ha fatta tanta, ma ancor più s’intendeva di vino (“in vino veritas”): speriamo che le parole di Giuseppe Conte, il nostro premier, non cadano nel vuoto. Su impulso del presidente di Rcs Media Group Urbano Cairo - «i nostri governanti dovrebbero cavalcare molto di più il Giro, sentendolo come un grande evento nazionale e supportandolo come accade in Francia, dove il Tour viene adottato dal Governo» -, Conte non si fa pregare e rilancia: «Il Giro è una festa nazionale e popolare che coinvolge tutti perché una bici, magari usata, è un mezzo alla portata di tutti. Questo è il governo del cambiamento, non credo che di frequente un presidente del Consiglio si sia fatto trovare alla partenza di una tappa. Siamo disponibili a un maggiore coinvolgimento, bisogna creare un tavolo. Governo ed enti locali devono fare sistema per valorizzare il Giro, che in fondo è un tour turistico-sportivo dell’Italia». Fin qui tutto bene. Ora che dalle parole si passi ai fatti. E si pedali: per una volta tutti assieme.
 
TROPPO COMPLICATO. È solo una questione di giorni, poi la riforma ci sotterrerà. Nessuno pare essere contento, tutti sanno che anche questa nuova rivisitazione del mondo professionistico è un format che non dà parametri certi e sicurezza di attività. Qualche anno fa la “commissione riforma” voluta prima da Pat Mc Quaid e poi portata avanti da Brian Cookson, aveva formulato una proposta che a grandi linee prevedeva 28 squadre di Prima e Seconda divisione. A tutte era garantito almeno un Grande Giro, 3 classiche e 50 giorni di World Tour. In verità sono tanti oggi i team di World Tour a spingere per un panel di 28 squadre, con l’idea di garantire a tutti la partecipazione ai Grandi Giri, ma a condizione che si corra con 7 corridori per squadra (6 per i piccoli Giri, 7 per le gare in linea). Un modo per assicurare al movimento qualche certezza, per dare anche un valore a questi team. Per fare un esempio: c’è un signor Commisso che oltre alla Fiorentina vuole entrare nel ciclismo dalla porta principale? Si compra la Nippo Vini Fantini o la Cofidis e ci entra. Troppo elementare, troppo lineare per le menti dell’Uci? I gruppi sportivi avrebbero anche avanzato l’idea di una “Young League” per gli under 25, con un ranking individuale e un meccanismo all’americana (il draft), dove il team più debole può scegliere per primo i migliori talenti. Troppo elementare, troppo semplice per le menti dell’Uci? Troppo complicato capirli.

CHIEDO SCUSA. «Non cambierei nulla di quello che ho fatto», ha detto di recente Armstrong. È una tassa, che ci tocca pagare e che pagheremo probabilmente fin quando il bullo texano avrà la sfrontatezza di parlare. Protagonista di una lunga intervista televisiva per l’emittente statunitense NBC Sports trasmessa integralmente mercoledì 29 maggio, il Grande Bugiardo ha ribadito il proprio pensiero: «Se mi fossi dopato e non avessi detto niente, non sarebbe accaduto nulla di quanto è successo. Probabilmente ho voluto farmi prendere, ero una preda facile». E no caro Lance, se sei abituato a cambiare le carte in tavola, a stravolgere la realtà e a mistificarla fai pure, ma la legge americana - che tu conosci molto meglio di noi - ti aveva messo spalle al muro costringendoti a dire la verità e a confessare. Altro che se non avessi detto niente, non sarebbe accaduto nulla. Nel tuo Paese, chi mente davanti ad un Giudice Federale rischia diversi anni di cella. Lì dalle tue parti non si scherza e, alla luce delle tante prove e molte testimonianze a supporto, sei stato costretto ad ammettere le tue colpe e - visto come la pensi oggi - a fingerti pentito.

Tanti sono i dopati che negli anni hanno animato e minato la credibilità dello sport e del ciclismo in particolare, ma il texano è chiaramente uno dei simboli più abbietti. Sono tanti gli atleti che si sono pentiti per convenienza, una minoranza si è ravveduta sinceramente provando ancor oggi un senso profondo di vergogna. Entrambe le categorie, però, hanno il pudore di tacere: non fanno i tronfi. Armstrong non è un poverino vittima del sistema che va capito, perché a differenza di tutti gli altri, il sistema sportivo (vedi Uci) lo ha controllato in lungo e in largo abilmente. Ha solo commesso un paio di errori: considerarsi al pari di Dio e non tenere conto che la giustizia ordinaria americana non scherza. Mi sembra già di sentirli: ma lui non è un ipocrita come tanti altri corridori. Bene, allora usiamo il tanto decantato codice non scritto degli sportivi e del ciclismo in particolare: vuoi doparti? Fai pure, ma a tuo rischio e pericolo e se ti beccano ti ritiri in buon ordine senza piagnucolare.

Cari amici del ciclismo, la verità è che il tanto muscolare e coerente Armstrong (ricordatevi che ha ammesso tutto in diretta tv), con il suo atteggiamento e le sue parole, dice solo una cosa: io sono drogato quanto e come tutti voi. Se vi va bene, io sono pronto a chiamare Eugenio Capodacqua, e quanti come lui in questi anni si sono battuti per uno sport pulito considerando il nostro movimento al pari di una cloaca, per chiedergli scusa.

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