Correre la Gran Fondo di Israele è sempre un’emozione unica. Non voglio mancare di rispetto ai monumenti italiani, ma gareggiare nel deserto, nel punto più basso della terra, è per me sempre un’avventura. Lo sforzo organizzativo quest’anno è stato premiato da 3 ore di diretta televisiva sull’emittente sportiva nazionale “5” che ha messo in campo 10 cameraman e l’elicottero TV. Subito i numeri con 1000 partecipanti provenienti da 20 paesi: Belgio, Germania, Colombia, Italia, Stati Uniti, Repubblica Ceca Repubblica, Francia, Russia, Cipro, Polonia, Norvegia, Inghilterra, Lettonia, Brasile, Argentina, Svezia, Canada e Israele.
L’edizione 2019 si è spostata nella regione di Arava, un’area al confine con la Giordania che si appoggia, dal punto di vista logistico, ai Moshav, delle comunità agricole avanzatissime, che svolgono anche dell’incoming turistico. Quello dei Moshav è un mondo incredibile che merita un approfondimento a parte.
Tornando alla Granfondo devo dire che quest’anno ho registrato un incredibile aumento dei marchi italiani. In corsa si vedono molte Bianchi, Colnago, Carrera, Basso e ovviamente De Rosa, una bici di casa ormai con la sponsorizzazione legata a Israel Cycling Academy del magnate Sylvain Adams. Anche nell’abbigliamento sono spuntati vari brand italiani. Alè, ad esempio, è partner ufficiale della corsa. In gruppo si vendono pure Santini e Sportful.
Quella israeliana è una comunità alternativa, i ciclisti vengono visti come un gruppo di sportivi d’avanguardia. La presenza di donne è importante, superiore a quella che si vede in Italia (nota di cronaca si sono tenute anche una 2 prove femminili UCI il giorno precedente). Il livello agonistico non è ancora molto alto e questo potrebbe ingolosire qualche europeo in caccia di successi facili. Quest’anno era prevista la partecipazione di un campione del mondo cicloamatoriale, ma lo sponsor tecnico alla fine lo ha dirottato su Strade Bianche.
Il deserto, contrariamente alle aspettative, esprime strade buone e decisamente in sicurezza con presenza massiccia, e a pagamento per gli organizzatori, della Polizia che non scherza con gli automobilisti. Ci si ferma e punto.
La salita degli scorpioni resta sempre il punto topico. Un’arrampicata di 7 chilometri dalle pendenze importanti con un’ambientazione scenica degna di un film di Sergio Leone. Colori accesi tra il marrone e l’arancio, qualche ciuffo verde e un cielo di un blu che pare dipinto. Ad interrompere quest’armonia la sottile lingua d’asfalto.
Onestamente la gara è un di più. La tentazione di mettere il piede a terra ha la meglio. Non per la fatica, ma per la bellezza del luogo. Viverlo, incamerando sensazioni è obbligatorio. Non è però finita qui, una volta scollinato ci si addentra ancor più nel deserto. S’incontrano tratti di leggero sterrato e un bel vento contrario. La scelta dei percorsi è varia e va dai 56 ai 161 chilometri con un medio da 128.
L’organizzatore di questa meraviglia si chiama Harel Nahmani ed è uno dei pionieri del ciclismo in Israele. Quest’anno è stato premiato e le sue notti insonni hanno portato ad un grande risultato.