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COPELAND: «SIAMO ARRIVATI ALL'ASSURDO DI DIRE: "NON STATE DIETRO A FROOME"»
di Pier Augusto Stagi | 21/07/2018 | 09:48

«Una settimana prima del Tour abbiamo scritto come associazione delle squadre all’Uci: chiedevamo sicurezza, soprattutto alla luce della sentenza Froome, che aveva alzato e di molto l’asticella della tensione».

Brent Copeland, generale manager del Team Bahrain Merida, non si dà pace, e non accetta di chiudere la questione Nibali con una semplice stretta di mano. Con una semplice serie di scuse. «Ieri ho parlato a lungo sia con Christian Prudhomme che con il presidente David Lappartient – ci spiega -. Si sono scusati e hanno assicurato che in futuro la questione sicurezza sarà nuovamente affrontata. Ma per noi non è sufficiente sapere che domani le cose potranno migliorare, noi abbiamo subito un danno grave oggi. E tutto questo non è accettabile. Ed è per questo che in queste ore il nostro studio legale sta valutando anche la possibilità di adire a legali vie legali. L’Aso è assicurata, e noi in questo caso abbiamo subito un danno evidente e molto importante. Vincenzo è il nostro capitano, è un patrimonio non solo per il nostro team, ma per tutto il movimento ciclistico mondiale come hanno giustamente sottolineato gli stessi Prudhomme e Lappartient».

Brent usa toni pacati, ma le parole sono tuono. «È vero, in corrispondenza del fattaccio le transenne c’erano. Però c’è una negligenza evidente: lì i tifosi hanno evidentemente scavalcato e la Gendarmerie che è sempre molto solerte a fermare voi della stampa e noi della carovana, non ha fatto bene il proprio dovere. Così come non ha fatto nulla con tutti quei ragazzi e quelle ragazze che accendevano in continuazione i loro fumogeni. È chiaro che non è semplice gestire più di 600 mila spettatori quanti ce n’erano l’altro giorno, ma visto che sono così potenti e organizzati, certe cose vanno affrontare con assoluta fermezza. Per non parlare poi che per trasportare Vincenzo all’ospedale di Grenoble non era disponibile nemmeno un elicottero…».

Incalziamo Copeland, sulla questione sicurezza, che mai come quest’anno è argomento del giorno, per il clima di eccitazione ed esasperazione che si respira all’interno del gruppo tutti i santi giorni. Non è un mistero: in ogni tappa Chris Froome rischia di rovinare per terra, perché sono tantissimi i tifosi lungo le strade che non si limitano a fischiarlo, ma cercano sempre di colpirlo con qualcosa o addirittura provano a gettarlo per terra.

«È così, non è assolutamente esagerato quello che stai dicendo: è lo stato delle cose. Se fino a ieri la parola d’ordine era: “Ragazzi state davanti per evitate le cadute”, adesso è: “Ragazzi non state dietro a Froome perché è pericoloso”. Sembra una barzelletta. Una situazione grottesca: non stare dietro ad un corridore perché è preso di mira, ma questo corridore davvero rischia tutti i giorni. Me l’ha confermato anche ieri Chris, confermandomi che è una cosa impossibile. E l’altro giorno, sull’Alpe d’Huez, Vincenzo era proprio dietro a Froome, perché stava scattando e non poteva fare diversamente. Chris è riuscito ad evitare moto e tutti, Enzo è finito per le terre».

Alpe d’Huez e Mont Ventoux sono le due salite più iconiche del ciclismo. Le più invase dai tifosi, quindi le più a rischio. Basta chiedere a Giuseppe Guerini, primo sull’Alpe nel 1999, che a poco più di un chilometro finì anche lui per terra per un tifoso che voleva fargli una foto…

«Ricordo perfettamente quell’episodio – prosegue Copeland -. Come vedi non era ancora scoppiata l’era digitale, internet non era entrato nelle nostre case e i telefonini non erano una protesi del nostro corpo, ma queste cose sono purtroppo sempre successe. Il Tour in questi anni, bisogna riconoscerlo, ha fatto cose importantissime per la sicurezza. A livello organizzativo sono cresciuti parecchio, ma in certe tappe come quella dell’Alpe d’Huez bisogna fare come al Giro per lo Zoncolan (Enzo Cainero docet): volontari degli alpini che fanno davvero un cordone umano per proteggere il passaggio dei corridori. Scusatemi se sono troppo venale, ma noi portiamo in giro per le strade del mondo un capitale umano, oltre che degli uomini. In una corsa così importante e bella, non è pensabile di dover rischiare tutti i santi giorni così tanto».

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