E’ stato, è e sempre sarà per tutti il “papà del Giro dell’Appennino” Luigi “Luigin” Ghiglione, la corsa da lui creata nel 1934 e che in questo 2018 è previsto per domenica 22 aprile con la 79^ edizione. La partenza, come avviene da qualche anno, è a Serravalle Scrivia, nella cornice del Designer Outlet e l’arrivo che ritorna nel cuore di Genova, in via XX Settembre, con la sua splendida e monumentale prospettiva. Altro “ritorno” è quello della scalata al Passo della Bocchetta, salita simbolo della corsa, nuovamente inserita nel percorso e tecnicamente “giustificata” dalla conclusione nella città della Lanterna.
Grazie pure ai contributi del nipote Fulvio Rapetti e della sua mamma Osvalda, figlia di Luigi Ghiglione, che hanno custodito con attenzione e cura anche i ricordi sportivi più affettuosi dell’amato papà e nonno, raccolti e pubblicati poi da Paolo Colombo, giornalista di La7 Sport, genovese di nascita e da sempre legato al ciclismo, si desidera qui ricordare un protagonista del ciclismo, in varie forme, la cui figura è sempre viva e ravvivata, quale riferimento, dalle iniziative e dalle linee di condotta degli amici dell’U.S. Pontedecimo-Sezione Ciclismo.
Luigi Ghiglione nasce a Pontedecimo, allora comune indipendente poi unito al capoluogo nel 1926, con altri del circondario, per costituire la “Grande Genova” della quale divenne poi una “delegazione”, situato a nord della città della Lanterna, all’inizio della Val Polcevera. E’ verso i monti e non vede il mare Pontedecimo.
Il giovanissimo Luigi Ghiglione si dedica dapprima alla ginnastica ma segue con grande passione il ciclismo e assiste alle varie gare nella piazza Arimondi di Pontedecimo, poi per anni teatro dell’arrivo prima del Circuito dell’Appennino, iniziato nel 1934 grazie all’intraprendenza di Ghiglione e diventato poi Giro dell’Appennino dal 1956, l’anno dopo l’ultima grande impresa di Fausto Coppi che salutò il gruppo sulle rampe della Bocchetta per firmare la sua ultima impresa in solitaria.
E’ Luigi “Luigin” Ghiglione, detto anche “Pistin” per la sua abilità in bicicletta pure in pista dimostrata allo stadio-velodromo genovese intitolato a Giacomo Carlini, conosciuto più comunemente come Stadio della Nafta, il motore dell’iniziativa organizzativa, affiancato da amici collaboratori, molti dei quali avevano condiviso con lui una variata carriera in bicicletta, quale agonista, combattivo – come il suo carattere – che lo portava ad eccellere in salita soprattutto.
Da uomo pratico, concreto, genovese per eccellenza, la bicicletta era la passione che condivideva con la sua attività lavorativa nell’avviata azienda di famiglia, falegnameria e mobili, da lui ulteriormente sviluppata.
Non faceva mancare il suo impegno civile, soprattutto durante il periodo bellico del secondo conflitto mondiale, in diversi modi, come quando si adoperò con amici nel recupero delle decine e decine di vittime dell’eccidio della Benidicta, località nel comune di Bosio, già in provincia di Alessandria, avvenuta nell’aprile del 1944, e non senza esporsi a grandi pericoli di ritorsione.
Da buon ligure teneva molto alla parsimonia, definiamola così, e per costruzione e educazione mentale del suo credo, anche sportivo, non ha mai corrisposto ingaggi, neppure dissimulati in altre forme, anche a campioni di primo piano che si schieravano al via dell’Appennino, corsa sempre disseminata di difficoltà altimetriche, dura, durissima, senza respiro, sulle alture dell'interno genovese. E questa sua linea di comportamento l’ha sempre affermata, ribadita, difesa anche nei consessi ciclistici, a livello nazionale, nei quali era stato eletto o chiamato e che inculcava anche ai suoi collaboratori e che confermava pure all’amico giornalista genovese, Giuseppe Castelnovi, “l’Ammiraglio”, poi approdato a Milano alla sede centrale della Gazzetta dello Sport.
Qui, per decenni, è stato alla guida della “sala macchine” del quotidiano rosa, a fianco di famosi direttori e riferimento professionale prezioso per i giovani del mestiere che trovavano in “Castel” un sempre disponibile appoggio. Ha anticipato il percorso poi compiuto da un altro genovese-genoano, Marco Pastonesi.
“Luigin”, figura caratteristica, minuta, energica, sempre con cappello a tesa, tipo Borsalino, o berretto, secondo la circostanza, detentore anche del “diritto di mugugno” proprio della gente ligure, si dava tutto, e mai con parsimonia, al ciclismo, sia in ruoli direttivi, sia in quelli tecnici, contagiando con la sua passione la famiglia, in particolar modo il nipote Fulvio Rapetti, apprezzato tecnico per la formazione ciclistica in ambito regionale, gli amici e i collaboratori. E questi, anche i più giovani – giovani allora s'intende… – lo ricordano sempre con particolare affetto e quasi devozione per la sua figura che praticamente fino alla scomparsa, nel 1986, è stato e, in qualche modo, è sempre “il Giro dell’Appennino” con lo spirito di patron “Luigin”.
Uno spirito al quale si sono riferiti e ispirati Bruno Tollari, Tomasino Morgavi, Francesco Tassistro e, dal 2003, Ivano Carrozzino, altro appassionato presidente, che sono cronologicamente succeduti a Ghiglione, scomparso nel 1986, e pure personaggi assai vicini alla corsa ligure come Tarcisio Persegona della Tre Colli, la famiglia Repetto della Elah-Dufuor e le istituzioni del territorio, seppure talvolta in maniera un po’ ondivaga. Il “nocciolo duro” dell’U.S. Pontedecimo del consiglio direttivo può contare sull’apporto di collaboratori di lungo corso della società con i colori sociali granata come il direttore di corsa Silvano Parodi, affiancato da Giuliano Lodigiani, dal giovane Andrea Negro* e con l’efficiente segretario Fabio Barbieri..
E il cippo in cima alla Bocchetta, definita anche la ”salita delle streghe”, luogo simbolo dell’Appennino, dove sono raffigurati Fausto Coppi e Luigi Ghiglione, ricorda il “papà del Giro dell’Appennino” e le storie, i fatti sportivi, i record e tanto altro di questa classica speciale che sta nel cuore degli appassionati liguri così come di tutti quelli che amano le due ruote con gli organizzatori dell’U.S. Pontedecimo che ogni anno si cimentano nell’impresa – paragonabile alla scalata della Bocchetta ma pure di più – di condurre in porto, in tempi sempre più difficili, la corsa di “Luigin”, la loro corsa del cuore e della memoria.
Giuseppe Figini
*Per dovere di precisione è giusto precisare, appunto, che nel testo di Luigi Ghiglione, quale uno dei direttori di corsa, era stato indicato Albano Negro.
Rimediamo alla svista segnalataci dal sempre attento Carlo Delfino di Varazze e indichiamo che il nome di battesimo esatto è quello di ANDREA, il genovese Andrea Negro, direttore d’organizzazione LCP.
Il vicentino Albano Negro (Chiampo 1942-Thiene 1988), nel ciclismo, è stato un buon professionista dal 1963 al 1968 che, per due giorni, al Giro d’Italia del 1965, ha pure vestito la maglia rosa.
g.f.