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LE STORIE DEL FIGIO. DINO TUTTOFARE
dalla Redazione | 01/03/2017 | 07:30

E’ una di quelle persone che, per propensione, preferiscono agire in un cono d’ombra, per scelta e con mentalità di vero servizio che rifugge da ogni ricerca di visibilità, Dino Giudici. Una categoria che è stata, ed è, sostanza del movimento ciclistico.
L’aspetto fisico di questo piccolo ma energico comasco di Inverigo, classe 1929, non è mutato di molto rispetto agli anni della maturità quando era nel pieno dell’attività lavorativa – è stato sempre un bancario, sempre cassiere, sempre al Banco Lariano, dal primo settembre del 1946, vittima di ben cinque rapine “ad personam” in carriera, superate comunque con grinta – che coniugava e integrava con la sua costante e polivalente passione per il ciclismo.

Ha iniziato in gioventù a gareggiare nella Marianese e nella Ciclistica Erbese, società vicino a casa, ma il risultato di maggior valore è stato un secondo posto nella cronoscalata Como-Brunate così da indurlo a lasciare la bicicletta per diventare, a soli ventuno anni, giudice di gara regionale e, al tempo stesso, consigliere del Direttivo della gloriosa U.C. Comense 1887 (1887 è l’anno di fondazione…) presieduta allora dal cav. Guido Bruno, persona e personaggio di valore specifico. A quei tempi i giudici di gara potevano avere ruoli direttivi e operativi nelle società. L’U.C. Comense andava per la maggiore in quel periodo con corridori che vestivano frequentemente l’azzurro della nazionale e con buone carriere successive nel professionismo.

Ricopre vari ruoli, in corsa e fuori corsa, e incrocia pure qui la strada di un suo più giovane compaesano, Francesco Redaelli, che indicato con nome e cognome non dice molto ma se si riferisce il suo soprannome “Jair”, rinfresca il ricordo di un vero e proprio “tuttofare”, simpatico, conosciuto ovunque nel ciclismo dilettantistico che proprio alla Comense ha imparato il mestiere e passare poi nelle squadre di Olivano Locatelli.

Dino Giudici, nel 1961, allarga il suo campo d’azione nel ciclismo, anche se in modo definibile collaterale, guidando un mezzo della consistente carovana pubblicitaria del Giro d’Italia che, in quell’anno, partendo da Torino, con il Trittico Tricolore, celebrava il Centenario dell’Unità d’Italia. Alla partenza da Bolzano della corsa rosa, anno 1964, è designato quale “ispettore” dei Giudici di Gara e, per la caratteristica della funzione – abolita all’inizio degli anni 1970 – trova posto sulle ammiraglie delle squadre, fra ricambi vari, sacchetti rifornimento, tubolari, ruote di scorta. Non è proprio un gigante e con la sua minuta corporatura sopporta bene l’esiguità dello spazio riservato (ma sarebbe meglio definirlo ricavato) sui sedili posteriori dell’ammiraglia per gli ispettori.

Nel 1967, anno del Cinquantenario del Giro con la spettacolare partenza notturna nel cuore di Milano impedita dalla contestazione degli extra-parlamentari guidati da Giangiacomo Feltrinelli, Dino Giudici è al volante di una vettura della Giuria con a bordo il giudice spagnolo Alberto Gadea, poi diventato direttore tecnico della Vuelta. All’epoca i conducenti delle vetture della giuria erano pure impegnati, nel dopocorsa, nella segreteria di gara per la redazione delle varie classifiche. Il computer era di là di venire e Dino Giudici, per le sue conoscenze regolamentari e per formazione professionale, era rapido, preciso e pure deciso. Fino alla metà degli anni 1980 Dino Giudici guida da “spanizzo”, come diceva Giovanni Michelotti, sammarinese e primo riferimento organizzativo sul campo di gara con il fido autista Isidoro Rimoldi, definendolo con un termine ripreso dal dialetto emiliano e che indica uno che non si tira mai indietro, in accezione positiva, sia per la guida sicura, esperta, sia per il lavoro.

Senza la qualifica ufficiale, ma, di fatto, era visto e vissuto come il “capo” anche della segreteria tecnica.  Era sovente abbinato alla guida della vettura di Francesco Milano, commissario internazionale e pure giudice di pugilato di prima fascia, che godeva fama di giudice severo, perfino duro. La “coppia” comunque funzionava, con il reciproco rispetto dei ruoli e l’amicizia di fondo. A proposito d’amicizia Dino Giudici ricorda quella duratura con Guglielmo Fanticini, Isidoro Rimoldi, Andrea Riva, collega bancario nella professione, Franco Marton, già dai tempi della Comense e che continua tuttora in costante, amichevole, polemica anche con il figlio Albino, Giuseppe Colzani, Antonio Penati, Franco Binda – gli ultimi tre suoi vicini di casa e di passione per le due ruote, e tanti altri colleghi giudici internazionali. Fra questi ricorda il ligure Ivo Luigi Bensa e Francesco Cenere.

Con l’attività nella corsa rosa non trascurava anche i suoi impegni nel Comitato Regionale Lombardo F.C.I. quale componente del Consiglio Direttivo prima, poi quale presidente della Commissione dei Giudici di Gara della Lombardia dove, immancabilmente, “timbrava” ogni martedì e venerdì sera. La domenica era dedicata alle corse, in privato, quasi di nascosto con una spiccata preferenza per la categoria  juniores che seguiva dappresso e che lo portavano a incontrare sovente Sergio Marzorati dell’Ambrosio, col quale condivideva spiccato interesse per la categoria.

Ricorda ancora le edizioni nella seconda metà degli anni ’70 della Settimana Sarda con il Giro di Sardegna e la Sassari-Cagliari quando, su mandato di Fiorenzo Magni e Vincenzo Torriani, che finanziariamente e organizzativamente – rispettivamente - sostenevano dietro le quinte Franco Pretti, il titolare della manifestazione, marciatore cagliaritano in gioventù, di origine emiliana, fra i fondatori e poi primo presidente dell’Associazione Nazionale Atleti Azzurri d’Italia, amico fraterno di Magni. E Dino Giudici, riscuotendo la piena fiducia di Magni e Torriani, era il coordinatore-amministratore, con poteri di firma, della manifestazione con il grande Alfredo Martini nel ruolo di direttore di corsa.

Ha operato per anni anche nella segreteria del Giro del Trentino collaborando con il G.S. Alto Garda di Guido Amistadi,  con Nerino e Lina Ioppi, e vari altri amici. In pensione, è stato anche con l’organizzazione delle Sei Giorni milanesi al Palazzo dello Sport di San Siro e ad altre iniziative federali quali il Giro Baby.
Per alcuni mandati Dino Giudici è stato componente della Struttura Tecnica Federale occupandosi con assidua presenza, senza mai ricercare la ribalta, soprattutto della parte tecnico-burocratica. E Giorgio Elli, brianzolo come Giudici, che con Antonella Orazi erano i suoi principali interlocutori, ricordano sempre con simpatia Dino, il suo rapido, sintetico esprimersi, senza tanti giri di parole, la sua competenza pratica, intercalate dal suo caratteristico, personalissimo, modo di dire che frequentemente usava e usa, fra l’italiano e il brianzolo, “per la quarta…..”.

Da una decina d’anni è anche – e finalmente - ciclisticamente “a riposo”. Si gode la famiglia – figli e nipoti - e il mar Ligure di Borghetto Santo Spirito, suo sempre più frequentato “buen retiro” con la moglie Fernanda che non ha mai obiettato sul molto tempo che Dino ha dedicato al ciclismo. E continua a seguire con interesse e passione anche il ciclismo attuale.

Giuseppe Figini

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