Succede nella vita, ma anche nel ciclismo, di non sentirsi più all’altezza della situazione. Quello che fino a poco tempo prima era un metodo che sembrava andar bene, si rivela essere inadeguato, obsoleto. E’ una situazione che vivono anche alcuni cicloamatori abituati all’allenamento fai da te e che improvvisamente vengono surclassati da altri atleti che fino a poco prima erano ritenuti meno competitivi.
A quel punto è spontanea la domanda: Che succede?
E’ il momento in cui si capisce che molti hanno virato su una metodologia di allenamento moderna, magari appoggiandosi ad un preparatore.
Nel concreto cosa è cambiato? Si allenano tutti di più? Questa domanda la giriamo a Giovanni Gilberti, preparatore professionista che ci guida in questa delicata tematica.
Cosa accade quando un cicloamatore si rivolge al preparatore?
«Premesso che abbiamo a che fare con delle persone, dobbiamo riuscire a capire chi abbiamo di fronte. Già dal primo momento possiamo comprendere in quali situazioni si trovi l’atleta. Faccio un esempio: se un soggetto ci racconta che si allena trenta giorni consecutivi ogni mese, dovrebbe scattare un primo campanello d’allarme. In buona sostanza l’atleta ha bisogno di una guida e dovrebbe trovare questo punto di rifermento nel coach. Nella maggior parte dei casi rileviamo che gli amatori si allenano troppo, sfociando in alcuni casi nell’overtraining. Solitamente vanno molto forte in allenamento e non rendono per quanto possono in gara».
Facciamo un passo indietro per capire meglio. Da dove partiamo per una corretta analisi del soggetto e da quali parametri?
«Primo step. Il medico sportivo prescrive e valuta gli esami del sangue, supportato da un biologo nutrizionista per rilevare eventuali carenze alimentari (vitamina B, D e ferro). Teniamo in considerazione parametri come ematocrito, Cpk (creatine phosphokinase) che segnalano l’affaticamento muscolare. Poi i globuli rossi e quelli bianchi. Pure il colesterolo viene tenuto in grande considerazione. Dopo aver effettuato lo screening attraverso le analisi, procediamo con il test di valutazione fisica attraverso i parametri della frequenza cardiaca e del wattaggio che vanno comparati con test passati».
E ancora: «Se la persona non ha mai svolto dei test, allora si richiede lo storico degli allenamenti precedenti e quindi effettuiamo una valutazione con il software di analisi (quello di Sportplushealth si chiama Training Analysis) in modo da capire se l’atleta ha recuperato la fatica tra una stagione e l’altra, rispettando i riposi settimanali e i microcicli di carico e scarico».
Una volta stabilita l’esatta condizione di forma, come si procede?
«Se l’atleta è già in overtraining, andiamo ad abbassare la quantità di allenamento e l’intensità. Potrebbe essere necessario farlo riposare e ricominciare una preparazione adeguata. La cosa difficile è capire quanto sia cronico l’overtraining. Ci sono casi in cui lo è da stagioni e ci vorrebbero almeno 3 mesi di riposo. Nei casi estremi si potrebbe anche saltare la stagione. Sembra incredibile, però succede a chi non si ferma mai e non inserisce lo scarico tra le sue attività. Tra gli amatori è possibile che tutto ciò accada e non ce se ne si renda nemmeno conto. Ci sono varie motivazioni. Ad esempio un ciclista, in certe fasi di scarsa brillantezza, tende a incolpare la bici di non essere performante, scaricando quindi la colpa su falsi problemi».
Ci sono altri parametri che ci aiutano in questa valutazione?
«Certo, a livello medico si possono effettuare il test del cortisolo e del testosterone che servono da riprova. Oppure vi sono sintomi come stanchezza cronica, cattivo umore, perdita o aumento di peso inspiegabili, difficoltà nel sonno».
Sono affermazioni piuttosto pesanti. Quali sono le reazione a livello psicologico da parte degli atleti?
«La maggior parte non accetta valutazioni di questo tipo perché l’atleta si sente un supereroe. Si trova a dover affrontare una realtà che è quella delle teorie scientifiche. Non possiamo affidarci a persone e impreparate. E’ fondamentale per il preparatore mettere l’atleta davanti a dati oggettivi sui quali non si possa discutere. È la nuova scuola di preparazione che avanza, quella dei preparatori che prediligono la qualità».
Questo passaggio alle nuove metodologie comporta cambiamenti importanti in termini di approccio. Cosa succede nella testa dell’atleta?
«Il primo pensiero è "mi sto allenando meno quindi andrò più piano". Il secondo e fondamentale passaggio è sentire che si conclude l’allenamento meno affaticati. Questo si traduce in maggior brillantezza che sarà utile in corsa. Diventa fondamentale l’aspetto psicologico legato alla fiducia nel coach, ma il riscontro, soprattutto per chi usa il misuratore, è immediato. Si riescono a spingere wattaggi superiori».
Quanto ci vuole ad apprendere le nuove tecniche?
«Se io sono bravo a far capire queste cose, già in 3 mesi si vedono i primi risultati. Se però l’atleta non segue al 100% il metodo, il risultato tarda ad arrivare. Fare un’ora in più di allenamento spesso non serve a nulla».
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