Sono sempre un piacere, sempre motivo per approfondire conoscenze e apprezzarne la preparazione, anzi la cultura ciclistica (e non solo) di un signore la cui nascita è stata registrata all’anagrafe il 3 gennaio 1919, le visite a Vincenzo di Cugno. Ricordando l’anno di nascita è solito soggiungere, con un arguto sorriso, “1919, l’anno di nascita di Fausto Coppi”.
Il secolo è vicino ma la memoria, l’eloquio, la conoscenza della materia ciclistica nei suoi fondamenti di base, comunque sempre attuali, non tradiscono assolutamente gli anni prossimi alla tripla cifra.
E’ un personaggio che ha avuto un ruolo di primo rilievo nella strutturazione dell’impianto delle regole ciclistiche, soprattutto nel secondo dopoguerra, quando è stato fra i fondatori della categoria dei Giudici di Gara di ciclismo dei quali è stato il primo presidente.
In una recente e sempre istruttiva visita nella sua bella casa milanese che si affaccia sul Parco Solari, distraendolo dall’ascolto della sua amatissima musica operistica della quale è un assiduo e competente cultore, Vincenzo di Cugno – purtroppo limitato nei movimenti degli arti inferiori da una forma artritica che, comunque, affronta con coraggio e grinta – ha ripercorso un po’ la sua vita sportiva.
E’ nato a Trani, in Puglia, Vincenzo di Cugno, conte di Molviano ma già all’età di tre anni è milanese, milanese con residenza della famiglia in Via Gluck, al civico 9, la via nei pressi della Stazione Centrale resa famosa da una canzone di un altro con famiglia d’origine pugliese come Adriano Celentano.
Giovanissimo, attratto dalla bicicletta, inizia a correre con i colori del glorioso Sport Club Genova 1913, che ha avuto fra i fondatori Adriano Rodoni poi presidente per moltissimi anni. Ricorda la sua prima bicicletta, una Dalcerri, un costruttore della vicina Opera, comune nella prima cintura milanese. Tanta passione, tanto impegno ma pochi risultati. A sua “discolpa” Vincenzo di Cugno ricorda che aveva iniziato a lavorare giovanissimo e, la sera, frequentava corsi di studio. Una di queste sere, rientrando dall’allenamento, fra il lusco e il brusco, in zona Solari, una Balilla non rispetta la precedenza e Di Cugno, con la sua Dalcerri, ci finisce contro, in pieno, rompendo i vetri e riportando pure notevoli danni fisici. Conseguenza è che il papà, che già non vedeva di buon occhio la passione del figlio per la bicicletta, gliela sequestra “manu militari”. Finisce così la carriera di corridore ma continua la passione per le due ruote frequentando la sede dello Sport Club Genova, in Via Olona, vicino alla zona della basilica di S. Ambrogio, ritrovo animato – come usava allora – con bar, biliardo, segreteria e varie attività per i soci e le loro famiglie. Un inciso, a questo proposito. L’ultima iniziativa del genere, nell’area milanese, è stata fino a quattro/cinque anni fa circa, il ritrovo della Zanazzi, in Via Dezza, sempre in zona Solari, animato dalla vivacità del compianto Renzo Zanazzi e che Vincenzo di Cugno frequentava assiduamente. Altri tempi…
Nello Sport Club Genova incrocia la figura di Adriano Rodoni e cura, quale direttore sportivo, la categoria degli “aspiranti”, ora paragonabile a quella degli “esordienti” per passare poi a quella degli “allievi” dove alleva vari corridori di nome e frequenta molti personaggi del ciclismo. Fra questi ricorda con particolare affetto il friulano Oreste Conte, Ugo Bianchi, telaista principe che abitava in una villetta della vicina Via Foppa, Ernesto Vigna, il papà di Marino Vigna, oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Roma 1960, anche lui tesserato per il Genova e tanti altri.
Da tempo aveva iniziato a lavorare alla CGE, in Via Bergognone, vicino all’abitazione di Via Solari dove nel frattempo si era trasferito. Resterà alla CGE, ininterrottamente, per quarantasei anni, raggiungendo posizioni di alta responsabilità. La struttura ora ospita i laboratori per gli allestimenti scenici e i magazzini del Teatro alla Scala.
Nel secondo dopoguerra Vincenzo di Cugno è il volano della creazione dell’A.N.U.G.C. (Associazione Nazionale Ufficiali di Gara del Ciclismo), allora con autonomia funzionale e tecnica, organismo regolato per i ruoli direttivi da votazioni espresse dagli affiliati, con peso specifico e innovativo per il ruolo, la figura e la “statura” degli associati. Non proprio come adesso, certamente, verrebbe da dire.
Vincenzo di Cugno è il primo presidente della struttura nazionale creata soprattutto con l’apporto e l’impegno del nucleo di dirigenti lombardi e, in questa funzione, si avvale della competenza d’indirizzo specifica del ciclismo e intellettuale (che non guasta mai) di Armando Cougnet, Giuseppe Ambrosini, Aldo De Martino, Nino Nutrizio, Mario Fossati, Aldo Zambrini, Vittorio Strumolo, Bruno Raschi, nomi che non hanno bisogno di molte illustrazioni e/o spiegazioni. E’ nella giuria del Giro d’Italia 1946 e riesce ad ottenere che sia l’ANUGC, in esclusiva, a nominare la giuria della corsa rosa, dall’edizione 1948. Viaggia, osserva, propone, prepara programmi e nuovi giudici di gara formati per il ruolo. Quest’attivismo non è vissuto bene dal suo amico, il “presidentissimo” Adriano Rodoni, che lo vede, a mano a mano, come un competitore temibile e ne determina un lungo e pesante “stop”. Neppure la successiva reintegrazione, determinata da una sentenza del Consiglio di Stato, ha mai rimarginato completamente questa ferita di Vincenzo di Cugno.
E’ stato poi per sedici anni il vice-presidente dell’UNVS (Unione Nazionale Veterani Sportivi), a contatto con grandi personaggi dello sport italiano, di tutti i settori, molti dei quali sono stati suoi amici.
E ogni volta, a ogni incontro, ricorda sempre nuovi episodi, nuovi aneddoti – come può testimoniare anche l’amico Marco Pastonesi che va a trovarlo – di un passato speciale, vissuto sempre con entusiasmo, nel mondo delle due ruote.
E ci saranno altre occasioni per ricordarne alcuni che la freschissima memoria di Vincenzo di Cugno conserva con lucida vivezza e abbondanza di particolari.
La memoria, materia non sempre valorizzata come merita, anche nel ciclismo, così come in altri settori, purtroppo.
Questi sono i tempi, piaccia o no.
Giuseppe Figini