“Imerio” è tornato fra di noi. Non lui, Massignan. Ma il libro su di lui, scritto nel 2012 da Marco Ballestracci e riedito da AlVento/Mulatero (208 pagine, 19 euro). E’, come nel sottotitolo, “un romanzo di dannate fatiche”. Neanche tanto romanzato. E Ballestracci – stessa latitudine, stesso accento, stessi umori di Massignan – ne ha creato un gioiello. Quella che pubblichiamo è la seconda e ultima parte della mia prefazione (la prima parte è stata pubblicata ieri). Grazie
Massignan era un uomo verticale. Non solo per la vocazione a forcelle e valichi, montagne e passi, pendenze e tornanti, ma anche per la resistenza a scorciatoie e inganni. La foto, sempre quella, racconta anche di un’ingiustizia: perché se Imerio è storto, straziato, stremato, ma ostinatamente sui pedali, tutti gli altri (possiamo contare su credibilissime testimonianze) avanzavano illegalmente, e solo la pietà, prima degli spettatori, poi dei giudici e degli organizzatori, aveva concesso loro la grazia, ma falsando l’ordine d’arrivo e rovesciando la storia. A cominciare dalla sua. Dodici anni da professionista e due sole vittorie (ma che vittorie: la prima al Tour de France, la seconda al Giro di Catalogna), però anche due vittorie nella classifica della montagna al Tour de France, e poi un rosario di piazzamenti, come il secondo posto nella classifica finale del Giro d’Italia del 1962. La più letteraria delle sue imprese contempla un altro secondo posto, la tappa del Gavia al Giro del 1960, sul Gavia – la prima volta assoluta del ciclismo, più o meno come camminare sulla Luna – era svettato primo, però, purtroppo per lui era prevista la discesa fino a Bormio, e però, purtroppo per lui era imprevista la foratura, tre volte!, di una gomma, e però, purtroppo per lui, dietro di lui e poi davanti a lui c’era un fuoriclasse come Gaul. Massignan tagliò il traguardo, in lacrime, dietro Gaul. Vincitore morale, gli dicevamo per dargli morale. Scuoteva la testa e ruminava improperi. Mai dire a uno sfortunato che è sfortunato.
Massignan lo si amava. Con tutta l’anima e con tutte le forze. Con l’impotenza di riscrivere la storia e con il pentimento di aver tifato per Nencini o Carlesi, Battistini o Adorni, Ronchini o Pambianco, o per quello sciagurato di Venturelli. Con la nostalgia per una faccia così espressiva e con la gratitudine per una storia così sghemba. Piatto di risotto e bicchiere di vino, Massignan incantava con i suoi racconti. Tre, strepitosi, sono irrinunciabili, anche adesso. Quella volta che compilò una nota-spese: “Un tanto per il treno, perché noi viaggiavamo sempre in treno; un tanto per ristoranti e trattorie; e alla fine aggiunsi ‘poiché l’uomo non è fatto di legno, diecimila lire’. Eberardo Pavesi, direttore sportivo della Legnano, sgranò gli occhi, aggrottò le ciglia, estrasse la pipa dalla bocca, mi squadrò, si rimise la pipa in bocca, e alla fine firmò. Perché l’uomo, e a maggior ragione il corridore, non è fatto di legno”. Quella volta che vinse la tappa pirenaica a Superbagnères: “Ma non sembrava neanche di essere al traguardo, perché c’era un vento così forte che aveva strappato e portato via lo striscione dell’arrivo”. E quella volta che gli contestarono la mancata vita da atleta: “E’ vero. A Nencini, che voleva fumare e bere anche quando indossava la maglia gialla al Tour, accendevo le sigarette e allungavo fiaschi di Chianti. Con il vino neanch’io mi tiravo indietro. Ma cosa volete che fosse mezzo litro di vino quando in un giorno mandavi giù dieci litri di acqua?”.
Aveva 87 anni, Massignan, quando il 3 maggio 2024 è morto da scalatore. Ma custodendo un meraviglioso dono: un libro. Il suo. Ogni corridore avrebbe diritto a un libro, il suo, perché ogni corridore ha una bellissima storia da raccontare, e poi da scrivere, e poi da pubblicare, ed è la sua storia, da vincente o da perduto, da scalatore o da velocista, da capitano o da gregario, da sognatore o da guastatore. Massignan ha trovato un interprete che ha il suo stesso accento, la sua stessa ostinazione, la sua stessa verticalità. L’autore è Marco Ballestracci. E l’opera è questa.
(fine della seconda e ultima parte)