In famiglia, il più competente era il nonno Carlo. Ricordava i campioni di ieri, conosceva i corridori di oggi, profetizzava sulle speranze di domani. S’intendeva di ruote e cambi, dissertava di salite e discese, “ma soprattutto amava l’uomo, l’uomo-ciclista perché ognuno di loro, mi diceva, ha una storia eroica da raccontarci, una lezione di vita da impartirci”. E quante storie: quelle di Trinci e Ciampi, quelle di Coppi e Bartali, quelle di tutti: “Il ciclismo è uno sport per uomini veri, per uomini duri, che mettono il cuore sulle salite, che scalano le vette, che cadono e si rialzano sempre con un fine: portare a termine la gara, lottare con l’avversario, con il gruppo e in fondo con sé stessi”.
Si respira ciclismo in un libriccino, “Resta ribelle” (Ma.Ga.Ma edizioni, 128 pagine, nessuna indicazione di prezzo), in cui Elena Baldi torna sui suoi passi, riapre la porta di casa, ritrova dialoghi e sguardi. E con una semplicità e un affetto che non sono requisiti del suo mestiere di avvocato, Baldi si racconta. Fra le stanze di Maresca e la ghiacciaia lungo il fiume, fra lo Scuro nella sala del biliardo e Zanzotto il pittore, fra l’anarchico con la pistola e il suo amico fornaio di Ponte alla Pergola, c’è anche il ciclismo. In Toscana, si sa, è un affare di famiglia.
Lo zio Ale, per esempio. Anche se sulla questione della borraccia – Coppi l’ha data a Bartali o è stato Bartali a darla a Coppi? – sosteneva che fosse stato Fausto a darla a Gino, lui teneva per “il terzo uomo”, Fiorenzo Magni. E alla nipotina raccontava del Giro d’Italia del 1956: “Magni corse stringendo in bocca una benda essendosi fratturato una clavicola durante la gara. Magni da vero uomo coraggioso rifiutò l’ingessatura, rifiutò di ritirarsi dal Giro, ma caparbio rimontò in sella e dopo aver legato l’estremità di una benda al manubrio, corse stringendo tra i denti l’altra estremità, in modo tale che sopportava meglio il dolore e allo stesso tempo faceva forza e pressione sulla bicicletta sia con il braccio sano che con la bocca. Si piazzò al secondo posto”.
Fu così che, grazie al nonno Carlo e anche allo zio Ale, Elena s’innamorò del ciclismo. “E quando molti anni dopo la mamma di Marco Pantani mi ha parlato di lui, del suo amore per la grande montagna, della voglia di superare i suoi limiti, di tornare grande dopo che una macchina gli aveva distrutto le gambe, della sua caparbietà, del suo stupore e della sua gioia”, Baldi non resiste alla tentazione e narra la storia di Marco, “la sua testa di riccioli”, il chiosco meglio conosciuto come “Tonina crescioni e piadine”, la salita del Carpegna. Quasi una fiaba.