Il demone in bicicletta è un insegnante di Storia e Filosofia con la passione (necessità?, bisogno?, urgenza?, istinto?, ispirazione?) dello scrivere. Saggi, critiche, memorie. All’anagrafe risulta Luigi Antonio Pedretti, in copertina compare Pierluigi Pedretti, lui si firma Luigi Pedretti. Uno e trino, come un divino antenato. Il suo libro “Un demone in bicicletta” (Le Farfalle, del 2018, 96 pagine, 12 euro) emerge magicamente sullo scaffale, forse un dono, forse un’eredità.
Nonni trentini, padre trentino, madre calabrese, lui nato a Grimaldi, con casa e liceo a Cosenza, un giorno Pedretti ha sentito di dover guardare meglio la sua comunità e il suo paesaggio. Lo ha fatto in bicicletta. Vento in faccia, salite nelle gambe, caffè nello stomaco. E quella curiosità, quella voglia, quella energia che viene a forza di pedali. La strada gli ha confermato che “per raccontare non c’è bisogno di inventare nulla: le storie vanno solo raccolte”. Soprattutto nello sport, soprattutto in bicicletta.
Per dare un ordine, Pedretti ha diviso i suoi diciassette racconti nelle quattro stagioni più un fuori stagione. Per dare un via, ha scelto la primavera. Per dare un senso, ha aperto gli occhi e spalancato il cuore. Tant’è che il demone in bicicletta non comporrà un diario, una guida, un elogio, ma cronache di brevi viaggi, veri incontri, intime emozioni, vecchie memorie, antiche storie. Un viaggio, come tutti i viaggi, non solo fuori di sé ma anche dentro di sé, dentro chi ci circonda, dentro chi ci ha preceduto.
Attratto dal mare, Pedretti insegue briganti, ritrova Garibaldi, immagina cavalieri, incrocia pastori, scopre ninfe. E pedala. La bicicletta come una chiave universale, come un passaporto libero, come un’arpa magica. Il Tirreno, la Sila, il Giardino delle Esperidi. “Non basta amare la bici, bisogna condividere anche la meraviglia. Sorprendersi, insomma, della bellezza che si cela ovunque”. Già, la bellezza. “Viviamo ormai immersi nell’abitudine, nella noia, nella bruttezza, che non riusciamo a vedere il bello che ci circonda: il paesaggio incantevole, il borgo medievale intatto, la porta con la chiave nella toppa, la generosità delle persone, la solidarietà verso i più deboli”. Anche la bellezza dell’imprevisto. “Trascorre circa un’ora, pedalo isolato in testa, quando da lontano noto nell’incavo di un albero una macchia bianca. Mi avvicino: ‘Presto, venite!’. Nel grande larice c’è una statua della Madonna. Chissà chi l’ha messa proprio quassù, sull’ultimo colle”