Partono e sembrano già tutti quanti arrivati, anche perché di partire non ne hanno molta voglia. All’Eroica quello che conta è davvero partecipare, esserci e incontrarsi, tra abbracci e sorrisi, battute e sfottò, senza nessuna presa di posizione, se non qualche presa per…
Partono e si sentono già tutti arrivati, perché la linea di partenza vale quanto quella dell’arrivo, che se arriverà è l’ultimo dei problemi per chi è qui. Non si scalpita, non si sgomita e non ci si affanna neanche un po’ a trovare la posizione giusta, men che mano a guadagnarsi la griglia migliore, perché al massimo qui la priorità è data alle grigliate vista la ciccia che circola in queste zone, quanto i fiumi di birra e di chianti di quello “bono”.
Più che bolliti sono assonnati e pensano tutti quanti alla ribollita che lungo i percorsi troveranno, in quei posti ristoro che sono più preziosi dei traguardi volanti, che qui per l’occasione sono l’elogio della lentezza. Tutti se la prendono comoda, altro che sfrecciare via per qualche secondo, qui pensano tutti al menù completo: dagli antipasti ai primi, dai secondi financo al dolce. È tutto un mangia e bevi e nulla centra con i continui su e giù delle strade bianche più famose del mondo: è proprio un mangia e bevi di ciccina e ribollita, formaggi e chianti.
Alla fine partono, tra una marcia dei Bersaglieri e una canzone intonata da qualche bontempone che sa tenere tempo e ruote. È festa a cielo aperto. Festa corale e composta, mai dimessa, anche se non ci sono urla o schiamazzi. Festa di popolo che sa festeggiare con un rigore laico del piacere. Il piacere di incontrare e rivedere, ammirare e sorridere delle proprie miserie e bischerate che vengono messe in scena a bassa voce, quasi celiando.
Biciclette d’antan. Al sabato i più eroici, che alle cinque di mattina sfidano quei 200 km e le tenebre con le loro lanterne senza andar in cerca dell’omo, ma semplicemente per seguirlo e inseguirlo, accodandosi ordinatamente in questa luce neonica fino alle prime ore dell’alba o molti, tantissimi, fino al vespro.
L’Eroica è comunità, rappresentazione di ciò che siamo stati e che siamo, in un vero e struggente teatro immersivo. Ognuno con la sua parte, ognuno impegnato a fare quello che è stato fatto, seriamente, ma senza prendersi troppo seriamente. E allora qui ci sono biciclette che parlano di storia e maglie che la rappresentano. Come quella della Molteni, che è stata sulle spalle di Cerato e De Rosso, Motta e Dancelli, poi di Merckx che l’ha resa più di ogni altro immortale. Mario e Lalla Molteni, figli di Ambrogio, nipoti di Pietro, con le loro famiglie l’hanno tolta dalla naftalina per riportarla in gruppo con uno scopo altrettanto grande: fare del bene. Con la loro Fondazione sono vicini a chi ha bisogno. A chi ha subito gravi incidenti invalidanti o è in difficoltà economiche. C’è un libro (MOLTENI, storia di una famiglia e di una squadra, ndr), ci sono maglie, felpe e calzini (maglificio Rosti ne è il licenziatario ufficiale): tutto il ricavato andrà in opere di bene. «Perché lo facciamo? Per stare bene – dice Mario Molteni, che all’Eroica si è presentato con sua sorella Lalla, con la moglie Cristina, con Arianna la figlia e lei con Tommaso, fidanzato pedalante. E poi Mario Corbetta, che per la famiglia Molteni è di famiglia -. Lo facciamo perché è giusto così, perché il ciclismo ci ha dato tanto ed è giusto ridare indietro qualcosa, in nome di un nonno, in nome di un padre. In nome di un cognome che ha fatto parte della storia del ciclismo».
C’erano tanti amici dei Molteni, ad incominciare da Fabio Perego, altro pezzo di famiglia di una famiglia che in questa tre giorni di Gaiole aveva una spalla dolente, ma per fermarlo bisognava sparargli alla schiena. Erano in tanti nel magia e bevi, inteso proprio come magiare e bere bene, poco meno di venti invece i pedalanti, che hanno mostrato le gloriose maglie blu-camoscio, che hanno ripreso vita in una rappresentazione gioiosa e festosa fatta di attese, nel senso che nessuno desiderava staccare nessuno e tutti erano lì per attendere. Nessuno con desideri solipsistici, tutti volevano entrare nell’area del difficile, nessuno in quella dell’impossibile.
Quanti amici, da Gianni Bugno iridato a Damiano Cunego appiedato per ragioni televisive. Da Francesco Pancani che per tre ore ha parlato abilmente di un non ciclismo che era il più ciclismo di tutti in uno scenario che bastava osservare per essere raccontato. Al suo fianco il padre creatore di tutto questo ben di Dio, quel Gian Carlo Brocci al quale non manca di sicuro la favella, ma gli manca maledettamente Luciano Berruti, che troppo presto è andato in fuga, lui che era abituato a stare in gruppo: trascinandolo. Poi c’erano Mario Chiesa e Maurizio Molinari, Alfredo Zini e Norma Gimondi, che da Salvaranista purissima ha anche vestito per un pomeriggio intero la maglia Molteni. E poi Carube, Roberto Lencioni, il meccanico di Mario Cipollini, oggi meccanico del mondo, di chi ha bisogno di una brugola, una vite o di un paio di scarpe. E poi Stefano Viganò, il signor Garmin Italia, che con la sua maglia di lana dell’“Italia Veloce” e il suo gruppo ha fatto gruppo, gruppetto e gruppone. E poi Danilo Gioia, con una squadra speciale di ragazzi speciali, quelli da Supereroica. E poi Beppe Saronni (con la signora Laura) che non pedala ma si ferma e racconta, saluta e soprattutto firma il libro scritto con Beppe Conti. Quanti incontri allo stand Drali, che da qualche tempo fa le “Bugia” di Gianni Bugno, anche se questa è la pura verità.
E poi c’è la Colnago di Nicola Rosin, che è qui in forze con Manolo Bertocchi e i suoi ragazzi, anche se un occhio lo deve avere anche per l’Eroica, visto che fa parte di quel cuore pulsante che da Gaiole in Chianti si dirama nel mondo con una serie di fortunate declinazioni di Eroiche in ogni angolo del mondo. E poi ci sono loro, più di 9 mila partecipanti, di cui il 10% donne e il 40% di stranieri. È una agorà di biciclette e campanelli, maglie e cappellini, sorrisi e abbracci, di tanta gente che è qui per ricaricare le pile senza ricorrere alla pedalata assistita. Nessuno ha paura di restare indietro, nessuno ha voglia di anticipare la partenza, nessuno ha fretta, l’arrivo può anche aspettare: l’Eroica no. È altra cosa.