Il borgo toscano di Montemarciano, nel ciclismo, è noto per aver dato i natali a Rinaldo Nocentini ma, da quest’anno, sarà annoverato anche come il paese di Gabriele Benedetti. Classe 2000, nel 2021 si è laureato campione nazionale U23 e quest’anno sarà l’unico italiano a passare professionista con la Drone Hopper – Androni Giocattoli.
«Non so cosa aspettarmi, ma sto facendo di tutto per provare a farmi trovare pronto – ammette Benedetti -. Questo ciclismo va veloce, quindi se non quest'anno, entro il prossimo devo dimostrare di valere il professionismo. Il 2021 è stato un anno da ricordare per me, avevo in testa l'obiettivo di passare coi professionisti e ce l'ho fatta, e poi la vittoria del Campionato Italiano ha reso tutto ancora più memorabile. L'impatto con la squadra è stato ottimo, sono tutti molto professionali, e l'arrivo di Drone Hopper credo abbia portato ancora più entusiasmo all’ambiente. Abbiamo visto anche i droni in azione, speriamo possa rivelarsi un progetto vincente».
Il suo percorso verso il professionismo è cominciato quando aveva 6 anni ed è stato un costante in crescendo fino alla categoria U23, in cui ha cambiato tre squadre in tre anni, Mastromarco Sensi Nibali, Casillo-Petroli Firenze-Hopplà e Zalf Euromobil Desiree Fior. «Da bambino, in realtà, volevo fare basket, ma mio papà, ciclista, mi ha spinto verso il ciclismo – continua Gabriele -. La prima gara, da giovanissimo, l'ho vinta, e a quel punto ho capito che forse era questo lo sport più adatto a me. Nocentini? È un bel punto di riferimento, anche perché ho caratteristiche non così lontane dalle sue, è sempre pronto a darmi qualche consiglio se glielo chiedo e capita spesso di uscire in bicicletta insieme. Era molto felice del fatto che fossi riuscito a passare professionista».
Se Nocentini è un buon mentore, l’idolo è sloveno: «Se posso sognare… mi piacerebbe vincere il mondiale o magari qualche bella classica. Ora come ora ammiro Pogacar, anche se so che non potrò mai arrivare al suo livello. Spero di incrociarlo a qualche gara quest'anno, almeno alla partenza, prima che cambi marcia (ride, ndr). Non credo andrò a parlargli, sono piuttosto timido. Uno degli sportivi che apprezzo di più, in quanto grande appassionato di tennis, è Novak Djokovic, anche se con questa storia degli Australian Open si sta un po' tagliando le gambe da solo. Al di là di tutto, resta però un fuoriclasse».
Benedetti comincerà la sua stagione, e la sua carriera da pro, al Challenge Mallorca, correndo almeno un paio delle prove previste. Dopodiché si sposterà in Turchia per il Tour of Antalya: «Non conoscevo praticamente nessuno in squadra, solo Leonardo Marchiori col quale avevo fatto un ritiro in Nazionale in passato, ma per il resto praticamente nulla. Abbiamo una nutrita schiera di sudamericani e magari, tempo un annetto, imparo anche un po' di spagnolo. Tra italiani e sudamericani l'unico un po' tagliato fuori è il norvegese Trym Westgaard Holther, poverino, che è l'unico che parla solo inglese. Tra tutti, il leader carismatico del team mi è sembrato Eduard Grosu. Ormai è diversi anni che è professionista, ha vinto diverse gare e credo possa essere un buon punto di riferimento per noi giovani. E poi è anche molto simpatico».
Non è un caso che Gianni Savio e il suo staff lo abbiano scelto: Benedetti è uno di quei corridori che, appena può, attacca, magari sbagliando, magari saltando per aria, ma senza mai tornare a casa con dei rimpianti. «Mi piacciono i percorsi misti e tendenzialmente sono uno che attacca da lontano, senza fare tanti calcoli. Le mie caratteristiche dovrebbero sposarsi bene con la storica filosofia della squadra di Savio. Ho un discreto spunto veloce, in uno sprint ristretto di una decina di atleti posso provare a giocarmi la vittoria. Detto ciò, devo provare ad essere meno esuberante, a gestirmi meglio nel corso di una gara, perché mi è capitato più di una volta di arrivare al finale di una gara senza benzina. Se sento che la gamba gira, faccio fatica a rimanere fermo. Ma con l'esperienza spero di migliorare anche in questo. E comunque credo sia meglio avere un difetto del genere, piuttosto che essere un attendista che non si fa mai vedere. Poi se sbaglio imparo, se invece va bene magari vinco ed è ancora meglio». E dunque, a quando la prima fuga?