Ha una passione sconfinata, eppure Luigi Rossi da 28 anni presidente della Polisportiva Camignone scopre di avere un limite, oltre il quale non sente di dover andare. Forse. «Sì, sono molto sconsolato e preoccupato, per certi versi anche spaventato da tutta la burocrazia che ci circonda. Capisco tutto, ma per noi piccole società volontarie di base organizzare una corsa diventa quasi impossibile».
La Polisportiva Camignone organizza corse dal 1974, anche quest’anno ad aprile sarebbero dovute andare in scena il trofeo Zinelli Mario e Teresi per allievi; il trofeo Ernesto Valloncini per esordienti; il trofeo Polisportiva Camignone cicli Gotti per giovanissimi, e poi il 25 aprile il trofeo Caduti e dispersi del Comune di Passirano, corsa per juniores giunta alla 53a edizione. Mentre a fine giugno in collaborazione con la Ospitaletto il Memorial Marchina, crono per tutte le categorie. E poi il gran finale, alla terza domenica di ottobre, con il trofeo Polisportiva Camignone che quest’anno raggiungerebbe la 37a edizione.
«E francamente questa spero ancora di metterla in scena – ci dice Luigi Rossi – anche se non sarà facile. Domenica prossima vado a vedere a Prevalle come fa Gianni Pozzani, e poi faremo le nostre considerazioni. Sono avvolto da tanti dubbi e timori, so che sarebbe fondamentale andare avanti, per provare a fare qualcosa perché è giusto farlo, ma non è assolutamente facile. Nella nostra zona, qui nel Bresciano, i sindaci danno le autorizzazioni solo se organizzi lontano dai centri abitati, se vai in mezzo ai capannoni. Ne ho parlato con la vice-presidente vicario Daniela Isetti, ho visto quello che ha saputo fare la Nuova Placci in Emilia, ma non è facile. Ne parlerò con Davide Cassani che si sta dando un gran daffare, io e non solo io ma tutti gli organizzatori abbiamo bisogno di appoggio, rassicurazioni e consigli, abbiamo bisogno di non sentirci soli, per non lasciare a nostra volta soli e nostri ragazzi. Questo è un momento molto delicato. Più che fare squadra direi che è il caso di essere famiglia. Ecco, il ciclismo ha bisogno di tornare ad essere ancora e sempre di più famiglia».