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CASSANI E L'ORGOGLIO AZZURRO
di Giulia De Maio | 30/10/2019 | 07:42

Di sicuro la prima medaglia mondiale da commissario tecnico la immaginava di­versa. Davide Cassani ha pianto perché è un argento e non un oro, perché i suoi ragazzi - gli altri ci chiamano la Squa­dra e ad Harrogate è stato chiaro perché - meritavano che il capolavoro fi­nisse sul gradino più alto del podio. Con l’inno e magari anche le lacrime, ma diverse da queste.

Nello Yorkshire l’Italia è risalita sul podio che le mancava da undici anni, da quando Alessandro Ballan precedette Damiano Cunego a Varese 2008. La nostra Nazionale non era tra le favorite, ma ancora una volta sotto la gestione Cassani ha saputo tirare fuori il me­glio di sé: compatta, lucida, generosa. Ha dimostrato ingegno, orgoglio, capacità di andare oltre i propri limiti.

dopo aver costruito un gruppo da favola pregustava, come tutti noi, un lieto fine. Negli ultimi chilometri di gara non ce l’ha fatta a rimanere seduto sull’ammiraglia che fu del suo maestro Alfredo Mar­tini, è sceso in cima all’ultima salita e li ha visti arrivare in tre, con Gianni Mo­scon poco più indietro, a lui ha urlato tutto il bene del mondo. Quando gli hanno detto che Matteo Trentin non aveva vinto ha pianto di rabbia. Dopo tutto quel piovere l’arcobaleno lo voleva addosso. L’argento fa male, ma se - come si suol dire - conta il cammino e non solo la meta, questo è un punto di ripartenza da ricordare.

Torniamo dallo Yorkshire con cinque medaglie, bottino importante considerando che le ragazze sono rimaste a sec­co. Ne abbiamo vinte tre a cronometro, prova che tra i giovani fornisce l’esatta misura del talento: fino a pochi anni fa ce le saremmo sognate. Se qualcosa nel ciclismo italiano sta cambiando, se i gio­vani si stanno avvicinando alla cro­no, alla pista, al cross ed escono dai no­stri confini per misurarsi con il mondo, gran parte del merito è proprio di Cas­sa­ni. Delle ore che passa al telefono, dei viaggi in lungo e in largo per l’Italia, degli sponsor azzurri che rimedia mettendoci la faccia, del dialogare con dirigenti, tecnici, politici vicini e lontani dalla sua cultura ciclistica. Non dimentica nessuno, vedi Visconti da molti considerato finito da un pezzo, vedi Ci­molai alle prese con un doloroso divorzio, vedi Moscon per tanti ingestibile a causa di un carattere difficile. Ha spinto i team a guardare oltre le vittorie a bre­ve termine, mediato sui clamorosi ritardi federali (siamo senza una pista co­perta, pur con una Nazionale di talenti formidabili), ha reinventato una Na­zionale permanente che serve a far crescere i giovani e a costruire l’anima del gruppo azzurro. Alla fine, è quella a fare la differenza.

Asciugate le lacrime, cosa resta?
«L’orgoglio per quanto fatto dai ragazzi e l’amarezza per un argento che ci sta stretto. Matteo con il filo di voce che gli era rimasto ai box ha sussurrato “Mi di­spiace”, ma non deve aver nessun rammarico ne rimpianto. Abbiamo fatto il massimo, corso bene, lui è stato perfetto, ha semplicemente trovato sulla sua strada un corridore che è stato più forte negli ultimi 200 metri. Lo sport è anche questo. Alla sera siamo usciti tutti insieme a cena, corridori e personale, e ho ringraziato tutti perché mi hanno regalato una giornata speciale, anche se tutti sognavamo un finale diverso. Ai ragazzi ho ribadito: “Sono orgoglioso di voi. Vi ho scelto e siete stati fantastici. Siamo sulla strada giusta, prima o poi un mondiale lo vinciamo”. Sono davvero fiero di ognuno di loro. Sono atleti bravi, intelligenti, votati al sacrificio, uniti per raggiungere un unico obiettivo. Mi ha emozionato vedere come si cercavano in corsa, scorgere la loro voglia di vincere negli occhi. Han­no affrontato come leoni una giornata da tregenda, difficilissima, posso solo far loro i complimenti».

Martini, Gimondi e Scarponi sarebbero orgogliosi di questa Nazionale.
«Alfredo di sicuro mi avrebbe abbracciato dopo il traguardo. Felice da lassù sarà stato orgoglioso di aver firmato una maglia che non ha vinto ma è stata indossata da uomini veri che ce l’hanno messa tutta fino alla fine. Michele con quel suo sorriso e una delle sue battute avrebbe risollevato il morale a tutta la banda. La realtà è che ci siamo giocati fino in fondo il campionato del mondo in una giornata durissima. Eravamo lì, con Moscon e con Trentin, era un piacere vederli e vedere come dietro gli altri azzurri tamponavano le azioni de­gli avversari. Arrivare secondi brucia molto. Sono orgoglioso di quello che hanno fatto, tutti. Pedersen è stato bravissimo, merita gli applausi, ma io non ho niente da dire su come hanno gestito la corsa i nostri. Quest’anno abbiamo vinto i Giochi Europei con Davide Ballerini, abbiamo vinto gli Europei con Elia Viviani e abbiamo corso un grande Mondiale conquistando l’argento e il quarto posto. C’è amarezza, non posso negarlo, ma sono orgoglioso dei miei ragazzi che quando indossano la maglia azzurra danno sempre il massimo e si trasformano».

Come facevi tu, del resto.
«Quando sono stato in Nazionale (no­ve campionati del mondo disputati, ndr) ho sempre corso per la squadra, non ho mai pensato al mio risultato personale e non me ne sono mai pentito anche se una volta potevo giocarmi un Mondiale. Fare il gregario è qualcosa che ho provato sulla mia pelle. Co­me Ct cerco di mettere in pratica quello che mi ha insegnato Martini: far sentire importanti tutti, dal campione al gregario. I talenti li abbiamo. Ora pure le squadre dei dilettanti hanno capito che il loro sistema era vecchio. Per far crescere i ragazzi servono corse impegnative e confronti internazionali. Tra gli Under 23 abbiamo vinto con Samuele Battistella, ma in gara c’era anche Giovanni Aleotti (fermato da un guasto alla catena, ndr), quest’anno secondo in un Tour de l’Avenir che non ci vedeva protagonisti dai tempi di Gi­mondi. Tra gli junior avete visto cosa sono stati in grado di fare Antonio Ti­beri e Alessio Martinelli».

Chiudiamo al terzo posto nel medagliere di Yorkshire 2019 dietro Usa e Olanda, con 2 ori, 2 argenti e 1 bronzo.
«Il bilancio da coordinatore delle Na­zionali è molto positivo. Sia agli Eu­ropei che ai Mondiali abbiamo vissuto settimane bellissime. In quest’ultima sfida iridata le ragazze, che ci hanno sempre abituato bene, non hanno colto medaglie, ma non è un dramma e sicuramente si rifaranno alla prima occasione. I risultati nelle categorie giovanili dimostrano che dietro ai professionisti c’è un movimento pronto a fare qualcosa di buono. Per questo devo di­re grazie alla Federazione, ai ragazzi e alle squadre con cui abbiamo instaurato un ottimo rapporto di collaborazione. So che il 29 settembre abbiamo fat­to sognare tanti italiani, ci riproveremo. Sia il bronzo di Ganna che l’argento di Trentin sono medaglie pesanti. Abbiamo tanti giovani forti, come Mo­scon. Il movimento ha ancora buone cartucce da sparare, questo è ciò che conta».

In Gran Bretagna hanno trionfato le nuove generazioni.
«È in atto un cambiamento radicale che deriva dal fatto che i giovani si allenano di più e meglio: quello che una volta faceva l’allievo lo fa l’esordiente, quello che faceva lo junior lo fa l’allievo e così via. Questo li fa arrivare più competitivi al mondo del professionismo. La grande novità che si è imposta negli ultimi anni è la multidisciplinarietà: pista, ciclocross, mountain bike e strada sono tornati ad essere un tutt’uno. Le varie esperienze ti fanno crescere perché ti permettono di affinare ca­ratteristiche che oggi sono vincenti. Finalmente anche a casa nostra l’hanno capito. Per far crescere il movimento la via è quella di aumentare gli sforzi per far pedalare i ragazzi, qualsiasi sia la disciplina. Ai più piccoli non bisogna insegnare uno sport ma un gioco perché devono divertirsi e imparare. Alla loro età la bicicletta deve essere un mez­zo per scoprire il mondo, per ad­dentrarsi nella vita, qualcosa di famiglia».

Dopo il primo podio mondiale delle sei spedizioni iridate firmate Cassani, il CT si concede finalmente una pausa meritata?
«No, assolutamente. Il ciclismo è la mia passione, le mie vacanze sono queste. Sono già con la testa ai prossimi obiettivi. Dopo i Campionati Europei di pista, che ci hanno dato soddisfazioni e risposte importanti, ci aspettano le prove di Coppa del mondo su pista. Non c’è tem­po da perdere, guardiamo avanti».

In vista dell’anno olimpico cosa ci dicono questi mondiali?
«In realtà poco perché a Tokyo così co­me in Svizzera per la prossima rassegna iridata dovremo puntare su uomini tolalmente diversi, essendo i percorsi adatti a scalatori. Su Matteo Trentin e altri ragazzi veloci potrò contare per il Campionato Europeo in Trentino e tra due anni per il mondiale in Belgio. Per quanto riguarda i Giochi Olimpici so­no già stato due volte in Giappone (ci siamo aggiudicati la preolimpica con Diego Ulissi in trionfo davanti al campione d’Italia Davide Formolo, ndr) e probabilmente ci tornerò prima del 2020, bisogna programmare al meglio la trasferta per tutte le discipline. Le gare si terranno in un periodo particolare, la prova in linea è in programma una settimana dopo il Tour. Devo parlare con i corridori che ho in mente per l’occasione e i loro tecnici, l’avvicinamento è fondamentale».

da tuttoBICI di ottobre

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