Il recente passaggio della 17.a tappa del Giro d’Italia a Palù di Giovo, la piccola località trentina carica di gloria ciclistica in varie declinazioni di colori, è pure l’occasione per ricordare una figura conosciuta nell’ambiente del ciclismo. E’ il trentino Giovanni – ma per tutti Nino – Marconi, classe 1938, di Lavis, centro poco più a nord di Trento, nella valle dell’Adige, dove inizia la strada per la Val di Cembra. E’ conosciuto in proprio per la lunga attività nel ciclismo e per la sua frequentazione, familiarità e fraterna amicizia, da sempre, con la Moser dynasty e i Simoni della vicina Palù di Giovo. Al “portego” – il portico – tradizionale punto di raduno e d’incontri davanti (e pure all’interno per Marconi, senza distinzioni) dell’abitazione dei Moser dove regnava “mamma Cecilia” sulla nidiata di figli, Nino è stato e tuttora è una presenza costante.
Non ha mai corso in proprio, anche se con i corridori è cresciuto poiché il padre di Nino, a Lavis, era titolare di una trattoria dove il capostipite dei Moser, Aldo, ai tempi chiamato “el bocia” (il ragazzino), grazie ai buoni uffici del papà di Nino che l’aveva preso a benvolere, rimediava quasi sempre una vettura – o simile – per farsi accompagnare alle corse. E’ da tenere presente che Trento, allora, in fatto di ciclismo, non era proprio centrale… Erano gli inizi degli anni 1950. Il tifo poi cresce ancora quando Aldo Moser passa al professionismo, seguendo l’amico e il ciclismo tutto della zona tanto che, nel 1969 è “arruolato” dai dirigenti dell’U.S. Montecorona, la società di Palù nata nel 1951 per il gioco del tamburello e che, nel ciclismo diventato poi prevalente, ha espresso il talento di Aldo Moser e di tanti altri Moser di varie generazioni, quello di Simoni e pure vari altri in età giovanile.
Quando Francesco Moser si trasferì in Toscana, al Bottegone, lasciando un vuoto nella società, anni fine 1960-inizio 1970, è stata la determinazione di Nino Marconi e alcuni amici ad operare per consentire – con successo - la continuità di questo speciale vivaio.
Ancora oggi tocca a Nino, a Diego Moser con il fattivo apporto di Gilberto Simoni, il compito di ricercare collaborazioni, sostegni, sponsor per l’operatività dell’U.S. Montecorona.
Il lavoro di tornitore specializzato in protesi ortopediche è in pratica un interludio quotidiano per applicarsi alla sua passione: allenare, consigliare, accompagnare, seguire, preparare o riparare le biciclette dei suoi ragazzi. Si sposa e in viaggio di nozze segue e insegue il Giro d’Italia con la gentile signora Irma che si rassegna subito alla condivisione del marito con il ciclismo. E’ consolata poi - e si prende una rivincita in questo - dai tre figli che non seguono il padre in tema due ruote.
Dopo Aldo si prospettano Enzo e Francesco Moser. E con lo “Sceriffo” Francesco, con il suo diretto, a volte spigoloso ed esuberante carattere, Nino Marconi vive tante vicende interpretando il momento del campione e amico che sa di trovare in Nino il massimo della comprensione e della collaborazione, attiva, non passiva, anche sul piano dialettico.
Quanti chilometri percorsi da Nino alla guida dello scooter rosso sulle strade trentine, allora non erano in auge quelli che ora si definiscono “pacer” e ci perdonino gli attuali, con dietro un cliente così, esigente, esigentissimo, sempre sul pezzo, impegnatissimo, che urlava “ordini” magari accompagnati da qualche imprecazione.
Quando la neve, in inverno, impediva di percorrere itinerari normali, soprattutto al tempo dei vari “record”, la galleria di Torbole lungo la vicina strada gardesana orientale, lunga circa un chilometro e mezzo, era la palestra, la pista, da percorrere, su e giù, per parecchie volte. E le urla dello “Sceriffo” rimbombavano sotto le volte della galleria mentre le risposte di Nino Marconi, sempre intento a stemperare con la bonomia delle sue battute la tensione, erano accolte – talvolta con un sorriso – dal re delle ore. Non c’era il traffico di oggi, ricorda Marconi
Proprio mentre si allenava al rullo di Nino Marconi, alla vigilia del Giro 1987, Francesco Moser incorse in una caduta che gli impedì di schierarsi al via della corsa rosa di quell’anno.
Stretto, strettissimo, è pure il rapporto che lo lega a Gilberto Simoni, un rapporto di stima e affetto reciproci, che continua sempre con Nino quasi un papà putativo di Gibi, come lo chiamano a Palù, che dopo avere perso giovanissimo il papà Enrico, ha sempre avuto vicino il Nino.
L’attenzione di Nino Marconi non è stata rivolta solo ai professionisti ma si esprimeva, con frequenza quotidiana, e ancora oggi, con tutti i tesserati dell’U.S. Montecorona proponendosi nelle funzioni di tecnico, direttore sportivo, consigliere, accompagnatore e, all’occorrenza, pure massaggiatore e cuoco, sempre con il suo modo di porsi amichevole, con battute, sorridendo.
E, tanto per non farsi mancare nulla, è stato un jolly in tante organizzazioni operando come assistenza tecnica, conduzione di vetture in corsa, preferibilmente presidente di giuria o medico di gara, ispettore di percorso e altro ancora.
Ha ricevuto importanti premi e attestati di specifico valore, a livello nazionale, in riconoscimento della sua lunga attività.
E’ spesso in compagnia, meglio in “batteria”, con vari amici per andare a vedere corse con l’abbinamento, di prammatica, alla degustazione di specialità dei luoghi.
E’ lui che solitamente guida il mezzo delle trasferte, anche quando Francesco è nella compagnia e, conoscendo Franz, è una bella apertura di credito in materia, anche se brontola sempre e comunque su tutto, dice Nino.
In questi ultimi anni un ginocchio ballerino, come lo definisce lui, lo limita un po’ nella sua dinamica attività e lo relega di più nella sua bella casa di Lavis rimediando un po’, agli occhi della moglie, a tante assenze. E riceve molte visite, anche dei suoi più giovani ragazzi, magari per un’aggiustatina, una regolazione della bicicletta.
Palù e il Maso Warth sono comunque sempre lì, a due passi, facilmente raggiungibili con lo scooter, con le varie famiglie dei Moser, dei Simoni e altri che considerano Nino Marconi uno di famiglia, in senso proprio, oltre che della famiglia del ciclismo.
Giuseppe Figini