E’ proprio di Montefalco, dove è nato nel 1942, Mario Valentini. Nel caratteristico centro umbro, martedì 16 maggio, si concluderà l’attesa cronometro individuale Foligno-Montefalco, la tappa del pregiato vino Sagrantino, di km. 39,800, uno dei momenti della verità della corsa rosa n. 100.
Mario Valentini è un personaggio che ha attraversato varie epoche del ciclismo, di quello su pista dapprima, poi spaziando un po’ ovunque, con vari incarichi e funzioni che ricopre, tuttora, con ruolo attivo e, perfino, entusiastico, a dispetto degli anni. Estroverso, disinvolto, diretto, loquace, anzi “linguacciuto” (e non ci inoltriamo in ulteriori specifiche in materia) ha vissuto il ciclismo dapprima come corridore, senza grandi risultati invero, quale chilometrista, velocista e pure stayer, gareggiando dietro motori. Era un atleta non di primissima fascia comunque, un atleta formato tascabile, ma tosto, determinato, sempre baffuto. Ha corso per il Corpo Forestale dello Stato.
In campo agonistico il palmarés di corridore riferisce di due titoli di campione italiano nel chilometro con partenza da fermo. Non molto, anzi… ma l’esperienza gli ha consentito d’acquisire conoscenze, in diretta, che si sarebbero poi rivelate utili, utilissime, nella sua veste di responsabile tecnico del G.S. Corpo Forestale dello Stato, sezione ciclismo. In quei tempi era una vera e propria scuola, soprattutto per la pista, all’epoca dei Rossi, Marino, Castello, Del Zio, Callari, De Candido e tanti altri ancora.
Sceso dal sellino della bici, sale, senza soluzione di continuità, sulla sella delle grosse moto da stayer dell’epoca, ancora con trasmissione a cinghia, apprendendo il mestiere e le astuzie dai consigli di Gastone Capacci, altro personaggio polivalente del ciclismo su pista, conducendo soprattutto Vincenzo Colamartino.
Diventa quindi anche tecnico per la pista del comitato regionale laziale della Federazione Ciclistica Italiana e poi, sempre per la pista, tecnico nazionale dal 1984 al 1997.
La base è Monterotondo, vicino a Roma, dove tuttora abita Mario Valentini, ma è sempre in giro e, fra l’altro, diventa pure un ascoltato e persuasivo “promoter” o “testimonial” che dir si voglia, dei pregiati prodotti della sua Montefalco: il noto vino Sagrantino e lo squisito olio di Montefalco. C’era sempre una scorta dei due prodotti sul furgone al seguito dei corridori e della squadra per proporre un assaggio, giusto un assaggio, a coloro che non li conoscevano ma che, sovente, li apprezzavano con immediatezza. Erano assaggi propedeutici, convincenti per acquisire e fidelizzare un nuovo cliente.
In questo periodo entra pure a fare parte dello staff di collaboratori del Velo Club Forze Sportive Romane di patron Franco Mealli, in qualità di vice direttore di corsa, anche con Mauro Vegni, curando soprattutto la coda delle corse del sodalizio romano, soprattutto alla Tirreno-Adriatico. Lo si ricorda spuntare dal tettuccio di una Fiat 127 verde fotografato con la neve che gli ricopriva pure i baffi. Erano entrambi tipi sanguigni Mealli e Valentini, con battute pronte e caratteri forti che si confrontavano anche con vivacità.
Nel 1998, già in pensione, Mario Valentini ha un “colpo di fulmine”, un innamoramento immediato, quando viene a contatto con il mondo del ciclismo paralimpico. Ne diviene subito il commissario tecnico, carica che ricopre tuttora. Il medagliere azzurro di questo settore della gestione Valentini riferisce di 32 medaglie alle Olimpiadi, 246 medaglie ai mondiali fra coppe del mondo, mondiali e altro, tanto altro.
Ha ricevuto la Palma di bronzo nel 2007 seguita da quella d’oro nel 2010 quale tecnico più “titolato” dello sport azzurro.
La testimonianza della sua sensibilità e del suo animo, aldilà della maschera disincantata, quasi un po’ sfrontata, guascona esibita con cadenza di linguaggio umbro-romano, l’ha data nel ricordo e nel saluto di commiato che ha riservato al termine del recente funerale di Cipriano Chemello, il vicentino valoroso pistard e poi tecnico, che ha accompagnato la carriera e quindi la vita di Mario Valentini.
Con i suoi atleti, normodotati o paralimpici, non fa differenza, non ricorre a sofisticati criteri scientifici, a tabelle e simili ma mette in campo la sua capacità motivazionale, disincantata ma non disattenta, sempre pronta a comprendere e aiutare, magari in modo burbero, con una battuta o una smorfia del suo mobilissimo, espressivo viso di attore caratterista.
Ha coinvolto nel ciclismo anche il figlio Mauro, cinquant’anni, anche lui conduttore dei ronzanti e scoppiettanti derny con i Dagnoni, Perego, Guidone Bontempi e altri della compagnia che ora, in omaggio all’anglicismo imperante nel ciclismo, si definiscono “pacer”.
Sarà d’accordo papà Mario? Possiamo immaginare, ma non scrivere certamente le sue esclamazioni e le sue risposte al riguardo.
Giuseppe Figini