E’ la corsa della birra, ma anche del vento e delle strade strette. Più giovane rispetto alle classiche classificate come monumento, l’Amstel è il primo atto della settimana delle Ardenne, trittico di prestigio che soltanto in due hanno completato con l’en plein: il povero Davide Rebellin, che le infilzò tutte nel 2004, e il padrone di casa, Philippe Gilbert, che ci riuscì sette anni dopo. Percorso tradizionale, da Maastricht a Valkenburg, 256 chilometri che non concedono un attimo di tregua fin dall’avvio: sono 34 le collinette proposte da un percorso che alla lunga stronca le gambe. La più iconica resta il Cauberg, affollatissimo di tifosi che attendono la corsa col boccale in mano, quest’anno riproposto anche come esame finale: saranno così tre i passaggi su uno strappo breve e secco dove per tradizione si decidono i destini della corsa. Sette le vittorie italiane, quasi tutte nel nuovo millennio, l’ultima nel 2016 con Enrico Gasparotto, unico dei nostri a far doppietta. Ecco le dieci facce che puntano a entrare nell’albo d’oro.
Tadej Pogacar. Vince perché è di una categoria superiore rispetto a tutti gli altri, perché vuol subito riprendere confidenza col successo, perché l’unica volta che l’ha corsa due anni fa l’ha pure vinta. Non vince perché aver disputato un’ottima Roubaix può lasciare qualche strascico.
Remco Evenepoel. Vince perché i fenomeni riescono a farlo anche nelle corse mai disputate, perché dopo il lungo stop si è presentato subito al top, perché la presenza di Pogacar è un grande stimolo. Non vince perché è appena tornato alle gare e il suo vero obiettivo è provarci a Liegi.
Tom Pidcock. Vince perché è la classica con cui ha più confidenza, perché ha vinto l’ultima dopo essersene vista soffiare una al fotofinish tre anni prima, perché in questa stagione sta andando forte. Non vince perché dalla Sanremo ha corso solo la Freccia del Brabante e la lunga pausa potrebbe avergli tolto ritmo.
Wout Van Aert. Vince perché vuol chiudere la sua primavera con un risultato importante, perché questa è l’unica corsa di peso che ha conquistato al Nord, perché un tracciato come questo per lui è l’ideale. Non vince perché sembra soffrire il cambio di passo dei fenomeni che si ritrova intorno.
Marc Hirschi. Vince perché è tagliato per questo genere di corsa, perché la sua stagione è concentrata soprattutto sulle Ardenne, perché c’è andato vicinissimo già un anno fa. Non vince perché fin qui in stagione non è apparso brillantissimo e potrebbe avere in Alaphilippe una valida alternativa.
Thibau Nys. Vince perché è un altro con le stimmate del fenomeno, perché sembra fatto apposta per le classiche delle Ardenne, perché ha iniziato a vincere subito e non ha intenzione di smettere. Non vince perché a 22 anni gli manca ancora l’esperienza per corse così toste.
Ben Healy. Vince perché è in ottima salute, perché sui mangiaebevi del Limburgo uno come lui va a nozze, perché due anni fa al debutto è stato il più bravo dopo Pogacar. Non vince perché in una corsa logorante come questa bisogna risparmiarsi e poche volte ci riesce.
Simone Velasco. Vince perché è la classica del Nord che gli riesce meglio, perché nelle prove generali per le Ardenne si è mostrato pronto, perché di quelli che promettono qualcosa è tra i pochi a mantenere. Non vince perché quando la corsa diventa dura gli manca qualcosa rispetto ai migliori.
Maxim Van Gils. Vince perché le Ardenne sono il suo pane, perché fin qui si è preparato soprattutto per questi appuntamenti, perché in questa corsa ha già annusato l’aria della top ten. Non vince perché rispetto ai pesi massimi della corsa sembra avere ancora qualcosa in meno.
Tiesj Benoot. Vince perché questa è la sua settimana, perché in Limburgo è già salito un paio di volte sul podio, perché è uomo che quando il gioco si fa duro non si smarrisce. Non vince perché in squadra c’è Van Aert e dovrà sacrificarsi soprattutto per lui.