Un incontro virtuale per capire cosa succede al Maglificio Santini, per conoscere l’evolversi di una notizia che è stata applaudita da tutti nel mondo dello sport, per scoprire quali mascherine stanno nascendo proprio nel cuore di quella terra - la provincia di Bergamo - che sta pagando il tributo più alto all’emergenza Covid-19.
È Paola Santini a spiegare come è nata l’idea ma soprattutto come si è sviluppata con il passare dei giorni.
«L’idea è stata collettiva: mia sorella, io, i nostri collaboratori, i nostri dipendenti ci siamo chiesti cosa potessimo fare per aiutare la nostra gente, il nostro territorio ed è nata l’idea di realizzare delle mascherine. Siamo partiti a tutta, spinti da un grande ottimismo e poi siamo stato costretti a rallentare a causa dei passaggi obbligati da compiere per arrivare ad assicurare un determinato standard al nostro prodotto. Il primo passaggio è stato far testare il nostro prototipo al Politecnico di Milano, mentre noi lavoravamo ad altri 6-7 prototipi con forme e materiali diversi».
Come sono andati i test?
«La prima mascherina, che è lavabile, ha passato alcuni test ma non tutti quelli necessari per essere dichiarata presidio medico, come noi volevamo che fosse. Così abbiamo inviato altri prototipi e uno di questo ha passato tutti i test del Politecnico e ora siamo in attesa dell’approvazione finale da parte dell’Istituto Superiore della Sanità. Nel frattempo abbiamo continuato a produrre la prima mascherina, utile per affrontare questi giorni di emergenza».
Che tipo di mascherina è quella nuova?
«Una mascherina di tipo 1, una mascherina facciale a uso medico che può essere utilizzata anche dai pazienti. Non può essere indossata in sala operatoria, per intenderci. È una mascherina monouso che può essere portata fino a otto ore. Per realizzarla abbiamo coinvolto i nostri fornitori, tutte aziende bergamasche, praticamente sono mascherine a km zero».
Richiedono un lungo processo di lavorazione?
«Un procedimento importante che coinvolge diverse realtà. La Radici ci fornisce il tessuto a 9 strati, la Plastic realizza una membrana che viene accoppiata al tesuto, noi tagliamo, cuciamo e confezioniamo la mascherina. Grazie a Minipack Torre di Dalmine abbiamo identificato una macchina specifica per questo processo di confezionamento. Un ultimo passaggio è quello in cui le mascherine confezionate andranno a Steris Spa di Seriate che si occuperà della sanificazione, processo che dura dalle 48 alle 72 ore, prima della immissione sul mercato.».
Quante mascherine pensate di produrre?
«Noi abbiamo calcolato 15-20.000 mascherine al giorno ma possiamo arrivare a 50.000 con l’aiuto di altre aziende per quanto riguarda la cucitura che è la fase che rappresenta un po’ il collo di bottiglia di tutta la lavorazione».
Quanto avete dovuto lavorare per adattare le vostre macchine alle nuove necessità?
«In realtà non troppo: abbiamo dovuto tarare le tagliatrici sul nuovo tipo di necessità ma direi che il punto più difficile è stato convincere le nostre operaie cucitrici a cambiare approccio: non più la cucitura bella e perfetta che richiede l’abbigliamento tecnico ciclistico (pensate che una maglia passa attraverso 9 diverse macchine cucictrici, tutte manovrate da una addetta diversa, ndr) ma una cucitura efficace ed il più possibile veloce per le mascherine».
Quali sono i tempi di produzione?
«Noi stiamo già lavorando, per il fine settimana attendiamo la documentazione dell’ISS e prevediamo di effettuare le prime consegne a partire dal 14 aprile, subito dopo Pasqua. stiamo pensando di devolvere a una o due ONLUS una quota di mascherine, cosicché siano loro a decidere a chi distribuirle. Le altre verranno vendute ad aziende, farmacie ed enti vari per un utilizzo al proprio interno o per essere rivendute. Il prezzo di acquisto coprirà solo i nostri costi di produzione».
In futuro pensate di farne una linea produttiva della Santini?
«No. Non è mai stato un nostro obiettivo e non lo sarà. Noi non vediamo l’ora di ripartire con la produzione di abbigliamento per ciclismo, di rivedere papà Pietro Rosino aggirarsi in azienda - ora è casa con la mamma, per fortuna siamo riuscite ad insegnare loro come si fanno le videochiamate - e di tornare alla normalità. Nel frattempo continuiamo a lavorare per la nostra gente, per la nostra terra e per il nostro #MolaMia».