Moreno Argentin, professionista dal 1980 al 1994, campione del mondo nel 1986 a Colorado Springs, quattro volte vincitore della Liegi-Bastogne-Liegi, re di un Lombardia, un Giro delle Fiandre, tre Freccia Vallone, 13 tappe al Giro d'Italia, due al Tour de France e ora presidente del comitato organizzatore della Adriatica Ionica Race, tira le somme insieme a noi della corsa sulle strade della Serenissima, che si è conclusa ieri a Trieste.
Soddisfatto del risultato?
«Decisamente. Abbiamo raggiunto l'obiettivo di organizzare una gara a tappe adatta a corridori completi, più impegnativa rispetto all'edizione dell'anno passato. Abbiamo disegnato tappe adatte a tutti, dopo un criterium veloce e pimpante, abbiamo vissuto quattro tappe diverse: una caratterizzata dagli sterrati, quella dolomitica, quella sui muri del Collio goriziano e la passerella finale a Trieste. Tutto è filato liscio, a parte la caduta nella quarta tappa di Mathias De Witte (Roompot Charles), che finendo su un gardrail ha colpito il malleolo peronale. Il ragazzo è stato operato d'urgenza ed è ben assitito, questo mi fa stare tranquillo. Siamo solo all'inizio di un percorso molto ambizioso. La corsa si chiama così perchè l'idea è di farla arrivare ad Atene in 4-5 anni. Il progetto consiste nell'organizzare una tappa per ogni regione o stato di questo ampio territorio che merita visibilità e interesse turistico. Siamo consapevoli che è di difficile realizzazione, ma l'impegno non ci manca».
Il ciclismo è un poderoso veicolo di promozione territoriale.
«Veneto e Friuli sono state fondamentali per lanciare questo evento, per il prossimo anno stiamo già lavorando per attraversare il confine, andando in Slovenia e Croazia. Siamo condizionati dal calendario internazionale che deve mettere d'accordo le esigenze di 5 continenti, noi rappresentando una corsa giovane dobbiamo avere pazienza. Per il 2020 confidiamo di ritornare a fine giugno per avere più chance di far tappa in località turistiche. Intanto l'etichetta di corsa che lancia i giovani ce la teniamo stretta. Dopo il trionfo di Ivan Sosa, abbiamo fatto emergere altri corridori di spessore internazionale. Padun è un atleta di qualità e molto determinato, la maglia azzurra gli dona».
Che impressione le ha fatto Remco Evenepoel?
«Indubbiamente è un gran fenomeno, appena passato dalla categoria juniores a quella dei professionisti ha già fatto vedere numeri stratosferici. Di atleti forti ne ho visti tanti, ma nessuno esploso così giovane. Nella tappa di Cormons quando è partito nessuno è stato in grado di stargli dietro. Ha anche un senso tattico molto elevato, ha “imbrigliato” Gilbert, costringendolo a correre di rimessa. Non ha solo talento ma anche intuizione. Sembra gli venga tutto facile. È nella squadra giusta per crescere senza consumarsi. Se riuscirà a reggere la pressione mediatica e non verrà schiacciato dalle alte aspettative (paragonarlo a Merckx è esagerato in questo momento), in futuro farà grandi cose nelle corse a tappe».
Quando le conquisterà, potrà dire di averlo visto alzare le braccia al cielo per la prima volta in Italia all'Airace.
«Ne sono felicissimo. Secondo il mio modesto parere deve fare esperienza nelle corse minori, come sta facendo, perchè nessuno diventa professore partendo dall'università. Dovrebbe puntare prima alle corse di un giorno, poi alle brevi corse a tappe, quindi ai grandi giri. Altrimenti rischierebbe di compromettere una carriera davvero promettente».