Sono mille le storie che il Tour de France ha scritto dal 1903 ad oggi. Storie di imprese e di campioni, storie di tracolli e di crisi, di polvere, di cadute, di montagne assassine e di vento, di pietre e di neve. Storie uniche, a volte anche incredibili, se rilette ai giorni nostri.
Ne abbiamo scelte dieci dedicate a corridori che per un sol giorno hanno indossato la maglia gialla. Non sono uomini da record, ma sono accomunati da una storia tutta da scoprire. Oggi si parla di Italia, con Carrea.
Gregario. Più che un mestiere, per Andrea “Sandrino” Carrea, una vocazione.
Si diventa gregari forse prendendo atto dei propri limiti. Ma non si diventa grandi gregari se non si conosce la nobiltà del servire, se non si sa esaltare il senso della lealtà.
«Bisogna avere un animo ben saldo per accettare come ideale di vita un capitano che durante il vostro lavoro anonimo sfrutta tutte le vostre energue per diventare ancora più forte e che al tempo stesso vi chiude senza speranza le porte del paradiso del ciclismo» scriveva Jacques Goddet su L’Equipe nel rendere omaggio all’emblema dei gregari, Andrea Carrea e a tutti i corridori animati dalla stessa inossidabile tempra.
Quando debutta al Tour de France nel 1952, Andrea Carrea ha appena scortato Fausto Coppi al suo quarto successo al Giro d’Italia. Il «Campionissimo» ha dominato la corsa rosa con classe e potenza. È al culmine della sua carriera, gode di rispetto in seno al gruppo per la sua superiorità atletica ma anche per la grande umiltà che mette in ogni suo gesto. Ma per Carrea, che vive ad un soffio da Castellania in simbiosi con il suo capitano, Coppi è ancora di più.
È il 3 luglio, la nona tappa porta da Mulhouse a Losanna, i km da percorrere sono 252. Per difendere gli interessi del suo capitano, Carrea si infila nella fuga giusta che parte dopo metà corsa. I grandi del gruppo lasciano fare, gli attaccanti se ne vanno via tranquilli e al traguardo hanno accumulato nove minuti di vantaggio.
La tappa la vince lo svizzero Diggelmann, Carrea inizialmente non capisce, poi quando realizza di aver conquistato la maglia gialla scoppia in lacrime, quasi terrorizzato, temendo la reazione di capitan Coppi, di Magni che la maglia gialla indossava, e di Alfredo Binda, il selezionatore supremo della squadra tricolore.
«È come un bambino che, in un pomeriggio d’estate, ha rubato qualche cucchiaio di marmellata e che vede apparire sulla soglia suo padre, che evidentemente già sa dell’accaduto», scrive il reporter de L’Equipe che ha assistito al rientro della Squadra in hôtel. Ma naturalmente di reprimenda non ce ne fu alcuna, solo complimenti e pacche sulle spalle.
Il mattino seguente Carrea è avvolto in una maglia gialla evidentemente troppo grande per lui e si prepara a vivere un giorno storico: per la prima volta, infatti, il Tour de France propone un arrivo in salita, poto al termine dei 21 tornanti dell’Alpe d’Huez.
La maglia gialla lavora per il suop capitano, contribuisce a spianare la strada per lo splendido volo solitario di fausto Coppi che conquista l’Alpe, indossa la maglia e fa sì che sul volto di Andrea Carrea finalmente torni il sorriso.
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