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PILLOLE DI TOUR. UN SOL GIORNO IN GIALLO, AMÉDÉE FOURNIER - 2
di Paolo Broggi | 28/06/2019 | 07:41

Sono mille le storie che il Tour de France ha scritto dal 1903 ad oggi. Storie di imprese e di campioni, storie di tracolli e di crisi, di polvere, di cadute, di montagne assassine e di vento, di pietre e di neve. Storie uniche, a volte anche incredibili, se rilette ai giorni nostri.
Ne abbiamo scelte dieci dedicate a corridori che per un sol giorno hanno indossato la maglia gialla. Non sono uomini da record, ma sono accomunati da una storia tutta da scoprire. La seconda è quella di Amédée Fournier

È il 1939, la vigilia del Tour de France è carica di venti di guerra anche se nessuno ha ben capito che a fine corsa passeranno otto anni prima di tornare a ripensare alla corsa.

È un Tour per nazionali e formazioni regionali, la Francia deve rinunciare a due leader come André Leducq et Antonin Magne ma si affida a talenti che si chiamano Victor Cosson, René Vietto e Maurice Archambaud. Nessuno ha pensato a convocare - né in nazionale né in una delle quattro grandi rappresentative regionali - Amédée Fournier ma una defezione dell’ultimo minuto libera un posto insperato nella selezione del Nord-Est-Ile de France. Per Amédée è il secondo Tour: nel 1936 si era schierato al via come touriste-routier ma si era fratturato il polso in una caduta nella quarta tappa ed era stato costretto al ritiro.

Stavolta il pupillo di Charles Pélissier, fresco di ritiro, sceglie la carta dell’esperienza: allora come oggi la prima tappa è scoppiettante, elettrica, pericolosa. Tutti vogliono attaccare, senza conoscere bene le loro forze, tutti ci voglio provare ma Fournier attende con pazienza.

«Avete visto per caso, in questa giornata, il giovane “Médoche’’ correre verso la maglia gialla come hanno fatto i tanti giovani senza cervello di cui vi ho parlato? No. Lui ha fatto come i piccoli topolini discreti e nessuno si è accorto di lui» scrive Henri Desgrange sulle colonne dell’Auto elogiando la strategia del vincitore. Perché non è che a pochissimi chilometri dal traguardo di Caen (raggiunto 215 chilometri dopo la partenza da Parigi) che Fournier passa all’azione insieme ad altri sette ciclisti per andare a caccia di Romain Maes, scattato tutto solo.

Una volta raggiunto il velodromo di Caen Amédée - che conosce bene la pista essendo stato tra l’altro medaglia d’argento ai Giochi Olimpici di Los Angeles nel 1932 nell’inseguimento a squadre (oro all'Italia di Cimatti, Pedretti, Ghilardi e Borsari) - fa affidamento a tutta la velocità che ha nelle gambe e vola alla vittoria. E racconta: «Ho avuto una sorta di allucinazione, ho capito all’improvviso di poter essere io a vincere e a conquistare la maglia gialla. È stato come se avessi ricevuto un pugno al mento, ho iniziato a spingere come un forsennato... E quando mi sono svegliato, avevo vinto».

Purtroppo, i 30 secondi di abbuono guadagnati non gli bastarono l’indomani - sui 63 chilometri della crono da Caen a Vire - a tener testa proprio a Romain Maes che prese tappa e maglia.

Ma la favola di quel Tour per Fournier non era comunque ancora finita perché - dopo aver conosciuto giorni molto difficili - al velodromo di Nantes firma un altra volata vincente. In hotel stavolta non parla più di allucinazione: forse aveva capito di aver vissuto il suo ultimo giorno di gloria sulle strade della Grande Boucle.

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