Si chiamava Anton ed era un discreto biker di metà classifica, dal 2018 sul suo tesserino c’è scritto il nome Kate e si sta affermando ai vertici della Downhill mondiale. Anche se non seguite assiduamente il fuoristrada, dovreste conoscere la storia di Kate Weatherly. Merita di essere raccontata e non solo perché dal lato agonistico sta facendo discutere.
Le recenti buone prestazioni di quest’atleta transgender stanno facendo storcere il naso a più di una rivale. Un anno fa vinse il titolo nazionale neozelandese di DH e in questo inizio di stagione sta ottenendo ottimi risultati. Domenica scorsa a Leogang ha chiuso sul terzo gradino del podio la terza prova di Coppa del mondo. «Sono felice di correre nella categoria a cui sento di appartenere e che le persone ora mi guardino per quello che sono. È comprensibile che la gente sia rimasta scioccata dalla mia transizione, nel giro di un paio di settimane sono passata dal correre con i ragazzi alle ragazze, probabilmente c’è stata una mancanza di informazione al riguardo, ma gli esami dimostrano che sono in regola. Posso correre e quindi lo faccio, cercando di migliorarmi gara dopo gara» raccontava alla tv di stato neozelandese che un anno fa ha dedicato uno speciale al suo ritorno alle corse.
Kate è nata e cresciuta ad Auckland, ha vissuto un’infanzia difficile perchè ha sofferto di bronchiectasia (una malattia in cui si riscontra una dilatazione irreversibile di una porzione dell'albero bronchiale dei polmoni; i sintomi tipicamente includono una tosse cronica, mancanza di respiro, dolore toracico) e da piccola ha provato in ogni modo a sentirsi a suo agio nei panni di un maschio, senza riuscirci. Ha iniziato a pedalare a 15 anni, a 17 le è stata diagnosticata la disforia di genere e ha deciso di intraprendere il difficile percorso per ritrovarsi. «Il mio cervello si è sviluppato da donna e non si riconosceva nel corpo di un uomo. Se non mi fossi ascoltata e non avessi ricevuto il supporto della mia famiglia oggi forse non sarei qui, di sicuro non sarei felice come sono adesso» prosegue Kate, che di recente si è laureata in Product design presso l'Università Tech di Auckland.
Sui banchi di scuola ha conosciuto l’amore: sta con Arin, che era una donna e oggi è un uomo. «Ci siamo dati forza a vicenda per uscire allo scoperto, apprezzarci per quel che siamo ed essere felici» aggiunge la 21enne kiwi, che cerca di non dare troppo peso alle critiche di chi fatica a comprendere il suo essere.
Per poter correre in campo femminile ha dovuto assumere ormoni per bloccare il testosterone per tre anni ed estrogeni per due fino a rientrare nei parametri stabiliti dai regolamenti IOC e UCI. Una sorta di “doping” all’inverso. «L’idea che io abbia affrontato tutto questo per vincere le corse è ridicolo. Nelle scorse stagioni mi allenavo al meglio, ma a causa delle medicine indebolivo il mio corpo. Non essere performante era frustrante. In palestra sollevo meno pesi di prima, ma il mio scopo non era un semplice risultato sportivo».
Lei che ammira Rachel Atherton e Loic Bruni, per il suo futuro sogna di vincere il titolo mondiale e vestire quella maglia arcobaleno che hanno indosso i suoi idoli. «Sono un’atleta a cui è capitato di essere trans. Non un’atleta trans - ci tiene a precisare. - Voglio essere un modello per i futuri sportivi che potrebbero ritrovarsi nella mia stessa situazione e, come me, vorranno mantenere un focus primario sulle corse al più alto livello possibile».
Dicevamo che qualche rivale di Kate si è già esposta dimostrando perplessità e parlando addirittura di ingiustizia nel dover confrontarsi con un'atleta che fino a poco tempo fa era un uomo. Se continuerà ad inanellare buoni risultati e si affermerà come una rider vincente, probabilmente cresceranno i malumori in gruppo. La sua storia farà discutere come già accaduto nell'atletica con Caster Semenya (che non era e non è un uomo, ma una donna con iperandrogenismo, ndr).
Tornando al mondo delle due ruote, quello di Kate non è il primo caso. Il 17 ottobre 2018, la ciclista canadese Rachel McKinnon ha vinto i Mondiali Master di ciclismo su pista a Los Angeles, diventando la prima atleta donna transgender nella storia dello sport a conquistare un titolo mondiale. La notizia per certi versi è passata inosservata, probabilmente anche a causa della scarsa attenzione mediatica riservata alla competizione in sé, nonostante le polemiche delle battute non siano mancate.
La storia di Kate è utile per sviluppare una riflessione che dominerà il futuro di molti sport: com’è possibile conciliare il diritto di prendere parte a una competizione sportiva senza ledere i diritti di un’atleta – eterosessuale, transenssuale o intersessuale – garantendo una competizione equa ad armi pari?