Adesso che anche Desenzano è entrata a far parte delle città piccole o grandi dove la bici non è più gradita (da Venezia a Trieste, da Oristano a Benevento fino a Piacenza e Portofino la lista è lunga), vien da pensare quanto sia difficile la vita del ciclista: se pedala per benessere in pianura o in collina rischia la pelle, se lo fa nei centri storici rischia la multa. Ma forse ad esser complicata è l’esistenza stessa delle bici, obiettivo di vandalismi nelle metropoli dove si possono prendere a noleggio, obiettivo dei ladri che da tempo hanno fatto dei negozi di settore, in particolare quelli sportivo ed elettrico, il bersaglio prediletto: una vitaccia.
All’italiana o no, è un paradosso: il mezzo di trasporto più antico e popolare, nelle città è il più incoraggiato e al tempo stesso il più osteggiato. Fa comodo quando deve aiutare a sciogliere nodi importanti come viabilità e qualità dell’aria, un po’ meno quando invade le vie del centro, anche in quei comuni che, in deroga al codice della strada, consentono ai ciclisti di percorrere i sensi unici al contrario: in sostanza, si invita il cittadino a viaggiare con un mezzo poco utilizzato, perché solo quattro italiani su cento si spostano in bici, e poi gli si chiude lo spazio dove farlo.
In controtendenza rispetto a molti angoli di mondo dove chi pedala ha ormai la precedenza (Oslo, fra pochi giorni, vieterà ai motori di ogni genere l’intera isola pedonale), l’Italia continua ad affrontare i velocipedi con permessi e divieti, quando invece basterebbe molto meno.
Non esistono bici buone o cattive, ma ciclisti educati o maleducati: contro questi, più che un’ordinanza o un blocco stradale, è sufficiente applicare le norme in vigore. Chi va sui marciapiedi o viaggia ad andatura eccessiva fra i pedoni o parcheggia dove non si può, va multato.
Esattamente come succede all’automobilista che non rispetta le regole: senza che, per questo, vengano chiuse circonvallazioni o autostrade.
da QN Quotidiano Nazionale