Zandegù del 1940, Basso del 1945. Zandegù padovano di Rubano, Basso vicentino di Rettorgole frazione di Caldogno. Zandegù figlio di un fornaio, Basso figlio di un contadino. Zandegù unico figlio maschio secondogenito con sette sorelle, Basso primo di tre fratelli. Zandegù grande e grosso, Basso piccolo e compatto. Zandegù passista veloce quasi velocista, Basso velocista. Zandegù da progressione, Basso da esplosività. Zandegù che le volate se le doveva inventare da solo, Basso che per le volate aveva una squadra per sé.
Zandegù Dino e Basso Marino – tutte le strade portano a una rima - nati per sfidarsi. A cavallo (di una bici) fra gli anni Sessanta e Settanta, sprintando e polemizzando, a codate e ad accuse, tra colpi di reni e colpi di scena, allargando ma a volte anche alzando i gomiti, i due duellanti avevano invaso i vialoni d’arrivo e diviso l’Italia del ciclismo. Zandegù passava per quello buono ma forse era solo ingenuo, Basso per quello cattivo ma forse era solo furbo. In corsa si cercavano, fuori corsa si ignoravano, ma sempre si temevano. E non se le risparmiavano. Adriano De Zan soffiava sul fuoco, bastava poco per accendere Zandegù, cui bastava niente per incendiare Basso, e lo spettacolo era assicurato.
Nella biografia “Non avevo paura di nessuno” (di Gianni Poggi per John Hills, https://www.tuttobiciweb.it/article/2024/10/27/1729967366/ora-pasto-marino-basso-gianni-poggi-non-avevo-paura-di-nessuno), Basso torna su Zandegù. Stavolta a soffiare sul fuoco è Poggi: “In un’intervista del 2013, che si trova su YouTube, Zandegù racconta: ‘Era scorretto di natura, la sua indole era quella di attaccarsi. Ha fatto collezione dei miei numeri dorsali, si attaccava sempre alla mia maglia, ne aveva cinquanta-sessanta. Mi chiedevano: e il numero? Ce l’ha Basso!’. Lapidaria la replica di Marino a scoppio ritardato, cinque anni dopo, nell’edizione 2018 della Bici al Chiodo: ‘Ma quante volte ti ho steso in volata lasciandoti come un baccalà?”. Preso per la gola, stavolta Zandegù non replica dandogli del “magnagati” come aveva fatto nel suo “Se cadono tutti vinco io” per Ediciclo, ma divaga: “Lui di baccalà se ne intende, quello alla vicentina è un capolavoro della gastronomia mondiale, lo stoccafisso essiccato e ammollato, la farina e le cipolle, le sarde e il parmigiano, l’olio e il latte. Bisogna dirlo: un patrimonio dell’umanità, anche se si tende a sottovalutare il baccalà alla padovana, con sautè di sedano e rosa di pasta filo croccante”.
Nel suo libro Basso ricorda due episodi. Il primo alla Milano-Sanremo del 1969. “Se non c’era Zandegù, vincevo io, potrei giurarlo. Difatti – e mi riferisco agli ultimi chilometri, al Poggio – come abbiamo scollinato, Merckx ha allungato alla sua maniera. Io confesso di aver visto distintamente la mossa di Eddy: difatti sono a mia volta partito come un razzo, giù per la discesa, alla caccia di Merckx. Mi sentivo in paradiso, il ‘Super’ era il pilota giusto per arrivare con un solido d’appoggio in via Roma. Poi, dannazione, mi sono girato ed ho visto che alla mia ruota c’era Zandegù. Era dalla partenza di Milano che me lo sentivo alle costole, una cosa asfissiante, bisogna provare per credere. Allora mi sono subito detto: ‘No, a questo punto non gli faccio da… ‘locomotore’ e mi sono d’incanto scostato. Lui, Zandegù ha fatto altrettanto e Merckx è rimasto libero di andare tutto solo, a vincere la sua terza Milano-Sanremo”. La parola (alla difesa) a Zandegù: “Merckx era imbattibile, Basso no. Così mi sono concentrato su di lui. Che sia arrivato lui terzo e io quarto, è una ferita al mio orgoglio che non si è ancora rimarginata”.
Il secondo episodio riguarda il Trofeo Matteotti del 1970. Dal libro di Poggi su Basso: “Al diciottesimo giro Marino esce dal gruppo a caccia dei cinque in fuga, Zandegù lo tallona. Nel giro successivo i due sprinter litigano platealmente perché il padovano non dà il cambio. Marino si arrabbia e fa addirittura il gesto di slacciarsi le cinghiette dei pedali per ritirarsi. La gente prima non ci crede, poi si mette a ridere. Finisce, in questo caso, bene. Marino scatta ai 200 metri e batte tutti in volata. Zandegù è quinto”. A 54 anni di distanza Zandegù è salomonico: “La sua versione è veritiera e anche verosimile, ma non vera al 100 percento. Basso non era un santo e neanche uno stinco di santo, era un corsaro e un bandito, spregiudicato e scorretto, insomma, un grande velocista. Oggi, con la televisione, certe cose non le potrebbe più fare, ma allora i commissari non vedevano niente, oppure chiudevano gli occhi. Nel loro caso, chiudevano gli occhi, comprati da ogni ben di Dio, prosciutti, salami e mortadelle della Molteni, la squadra di Basso. Io, che correvo per la Salvarani, non potevo mica regalargli una cucina ogni giorno. Ed è questa la verità vera”.