“La sua fu una vita da gregario, eppure la storia del ciclismo marchigiano è legata al suo nome”.
Michele Gismondi, anzi, Gismondi Michele (Montegranaro 1931-2013), l’angelo custode di Coppi. Una sintetica biografia, comunque lunga più di quella dell’attore Massimo Girotti che la precede e molto più di quella dell’insegnante organaro Francesco Giulietti che la segue, è inserita nel “Dizionario biografico di Personaggi del Fermano”, seicentocinquanta!, compilato da Giovanni Martinelli e pubblicato da Andrea Livi Editore (400 pagine, 30 euro, del 2021).
“Mangiò polvere e chilometri per le strade del Fermano, fino a quando, per interessamento di Fausto Coppi, entrò alla corte del mitico Biagio Cavanna, lo scopritore cieco dei grandi campioni”.
Se Carrea e Milano furono i gregari per eccellenza del Coppi più forte e vincente, Gismondi lo fu anche del Coppi al tramonto, fino all’eclisse, fino alla scomparsa. Generoso e fedele. “Io ero l’uomo – mi raccontò – che fino a mezzogiorno stava davanti al gruppo, poi scendeva dietro, e come arrivavo non era più importante, l’importante era che arrivassi e il giorno dopo fossi ancora là davanti al gruppo, fino a mezzogiorno”. Le corse, allora, partivano anche alle sette, alle otto di mattina, alla luce dei fari delle macchine.
“Dopo due quarti posti (Lugano 1953, Solingen 1954) il suo grande momento fu ai campionati mondiali di Zandvoort, in Olanda, nel 1959: arrivò secondo, ma gli rubarono il titolo di campione del mondo, battuto in volata dal francese André Darrigade che doveva essere squalificato avendo cambiato la bici in gara”.
Ho ritrovato Nazareno Gismondi (è stato lui a donarmi questo libro), figlio di Michele, a Montefiore dell’Aso, dove hanno conservato (e presto le restaureranno) due scritte W COPPI sui muri del paese. Le strade del ciclismo s’incrociano, le vie del ciclismo s’inanellano, le vite del ciclismo risorgono. Sulle pagine di un libro, nelle parole di un cronista, nei ricordi di un figlio.
“Quando avrebbe potuto finalmente essere il capitano, un grave incidente lo fece ritirare ancora giovane nel 1960, l’anno della morte di Coppi. Tornò a Montegranaro a fare scarpe, continuando a seguire il ciclismo con lo stesso basso profilo con il quale, per tutta una carriera, aveva seguito il suo capitano”.