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GIOVANARDI, IL ROCK "CREPUSCOLARE COME BUGNO" CHE INCANTERÀ LA VALLE SAVIO
di Nicolò Vallone | 02/05/2023 | 17:32

Monzese di Brugherio, 61 anni domani, Mauro Ermanno Giovanardi è stato il cantante dei Carnival of Fools e soprattutto dei La Crus. In coppia con Cesare Malfatti, anzi in trio col paroliere Alessandro Cremonesi (e spesso in collaborazione con altri colleghi, come Manuel Agnelli) i La Crus sono stati attivi dal 1994 al 2008, con una fugace reunion nel 2011 per l'unica apparizione al Festival di Sanremo della loro vita: arrivarono sesti col brano "Io Confesso" nell'edizione vinta da Roberto Vecchioni. Dopodiché ognuno per la sua strada, anche se occasionalmente Mauro e Cesare tornano a esibirsi insieme e in pentola bolle una novità che vi sveleremo poco sotto...

Per quanto riguarda intanto la carriera da solista, dopo dieci album di gruppo (due coi Carnival of Fools, attivi dal 1989 al 1994, e otto coi La Crus) in questo decennio abbondante in proprio Giovanardi ne ha realizzati altri cinque. E sei mesi fa è uscito il singolo "Cosa resterà" dedicato a Pier Paolo Pasolini.

Cosa ci fa la bio di un esponente della scena rock italiana su un sito di ciclismo? Lo ben capirete leggendo queste righe!

Mauro, ben prima di appassionarsi a note, melodie, voce e strumenti, la sua passione era la bicicletta!

«Erano i primi anni Settanta, iniziava l'austerity e il fenomeno-bicicletta ebbe una nuova impennata. Fortuna volle inoltre che si trasferisse di fronte casa mia la sede della Brugherio Sportiva, una società all'epoca molto importante nel movimento giovanile. Mi regalarono una bici e cominciai a pedalare: feci tutta la trafila con loro, fino al primo anno Juniores. Andavo bene sulle salite brevi e avevo un buono spunto veloce, il mio problema purtroppo era emotivo. Il medico sportivo da cui andavamo ogni mese, Marco Pierfederici (uno che seguiva anche Bugno e Moser) mi diceva "col fisico e la capacità polmonare che hai, dovresti portarmi i fiori del vincitore ogni weekend" e invece ho fatto tanti secondi posti, podi e piazzamenti. In pratica sentivo troppo il peso delle aspettative, come canterebbero Colapesce Dimartino, quando vedevo lo striscione dell'ultimo chilometro mi tremavano le gambe.»

Com'era la vita da giovane corridore?

«Correvo con bici che iniziavano ad alleggerirsi rispetto al "ciclismo eroico", ma avevo ancora abbigliamento di lana che quando lo lavavi dovevi stare un'ora a strofinare per ammorbidirlo. La mattina in cui si correva mi alzavo alle 5 e mezzo del mattino per mangiare riso, carne e spinaci. Alimentazione che oggi sarebbe improponibile! Vivevo in bici sei giorni su sette, macinavo in sella oltre 20mila km l'anno, eravamo dei piccoli professionisti senza averne i privilegi. Mi svegliavo la notte per studiare, praticamente vivevo di scuola e ciclismo.»

Quando e perché ha deciso di smettere?

«A 17 anni mi venne la pertosse e dovetti stare due mesi chiuso in casa, potevo allenarmi solo sui rulli. Arrivò l'estate e andai in vacanza in Emilia, nelle terre d'origine di mio papà. Lì scoprii la musica, di cui prima sapevo pochissimo: il 10 settembre 1979 assistetti allo storico concerto di Patti Smith a Bologna e rimasi folgorato. Tornai a correre per due-tre gare, ma dopo una stagione quasi interamente trascorsa senza correre avevo perso il ritmo, non riuscivo a stare al passo degli avversari e mi inventavo di avere i crampi per giustificarlo. Vendetti la mia bici e mi comprai un basso elettrico e un amplificatore Fender, in pochi mesi passai dalle riviste di ciclismo a Lotta Continua.»

Ha chiuso completamente col ciclismo?

«No, solo per qualche anno. Mi era rimasto addosso il rigetto per quello sport che mi aveva costretto a tanto sacrificio, non ne volevo neppure sentir parlare. Semmai presi a giocare a pallone ogni tanto: quando correvo in bici mi era precluso per evitare rischi, quindi non ero particolarmente dotato tecnicamente, tuttavia gli anni da ciclista mi avevano talmente allenato atleticamente che correvo 90 minuti e tutti gli amici mi volevano in squadra. Oltre a questo, ammetto che a cavallo dei miei vent'anni e agli inizi della mia vita da musicista, un po' mi vergognavo a dire di aver corso in bici: erano anni in cui c'era l'utopia che la cultura fosse rivoluzionaria e lo sport era considerato frivolo, e in particolare il ciclismo era considerato lo sport del "mamma sono arrivato uno".»

Quando le è tornata la passione ciclistica?

«A fine anni Ottanta, anche grazie a mia mamma che era rimasta sempre legata alla Brugherio Sportiva ed era una super appassionata: ci confrontavamo sulle corse e ci aggiornavamo su quando fossero le dirette televisive. Compatibilmente coi crescenti impegni musicali (iniziava l'avventura coi Carnival of Fools, nome ispirato a una poesia proprio di Patti Smith) iniziai a guardare tutte le gare che potevo. Erano gli anni di Gianni Bugno, brianzolo come me, un corridore "anomalo" rispetto alle epoche precedenti: uno che chiaramente non pensava solo a pedalare, era molto avanti e l'avrebbe poi dimostrato nel suo dopo carriera. Mi è sempre piaciuto un casino anche umanamente.»

Un amore durato negli anni?

«Altroché! Sono stato tifoso di Pantani e Contador, senza dimenticare Andy Schleck che speravo diventasse molto più forte di ciò che è stato. Poi come non menzionare Nibali, fino ad arrivare a questa epoca pazzesca che stiamo vivendo. Mai ho visto così tanti fenomeni insieme negli stessi anni. Dispiace solo che tra i vari Pogacar, Evenepoel, Van Aert, Van der Poel, Roglic fino a un certo punto perché è più avanti con l'età, quasi ci dimentichiamo di cosa è stato capace e di cosa lo sarebbe ancora stato Egan Bernal: senza quel maledetto incidente, a che duelli avremmo potuto assistere con Pogacar e Vingegaard nei grandi giri, mamma mia... Comunque io sono super fan di Tadej, quando ha vinto al Fiandre mi son detto "stasera non me ne frega neanche se perde il mio Milan" mentre due sabati fa, dopo un concerto a Rivalta di Torino, anziché pernottare lì come sarebbe stato più comodo sono tornato a casa di notte per essere pronto l'indomani mattina a guardarmi la Liegi dall'inizio: ero così curioso del duello con Remco, che peccato quella caduta! In ogni caso, se Eddy Merckx in persona ha detto che si rivede in lui, questo dice tutto. La cosa che m'impressiona è che questi ragazzi, sì ok sono il risultato di studi scientifici applicati a ogni aspetto del mestiere di corridore, ma fino a prova contraria sviluppano watt impressionanti senza doping.»

Ha tirato fuori un argomento spinoso...

«Guarda, non ho problemi a dire che per me sul ciclismo eroico cui accennavamo prima c'è tanta retorica. Fino a quando nel 1967 Tom Simpson morì al Tour de France, non esisteva l'anti-doping. Mai nessuno ricorda che in un'intervista del 1952 Fausto Coppi descrisse "la Bomba" che assumevano lui e tanti sportivi all'epoca, a base di simpamina. Sia chiaro, il Campionissimo era davvero un gigante, e del resto se tutti prendevano le bombe vuol dire che chi vinceva era comunque il più forte.»

Torniamo al Mauro Ermanno Giovanardi ciclista: oltre a non perdersi una corsa in tv, va ancora in bici?

«Sì, ad esempio l'altro giorno mi sono fatto oltre 70 chilometri. Cinque anni fa, per problemi di reflusso legati anche al canto, ho smesso di fumare e bere alcol e caffè, ho ripreso in mani la Colnago di mio padre di metà anni Settanta, le ho fatto mettere il manubrio alla francese al posto di quello da corsa, due tubolari un po' più grossi rispetto ai palmer, e ho cominciato a pedalare tantissimo. Da aprile a ottobre, se riesco, esco tre volte alla settimana. Amo fare avanti e indietro sul Naviglio della Martesana, che ha una pista ciclabile molto bella. In strada evito di andare: ci sono troppi pazzi disattenti in giro, è pericolosissima.»

Praticamente il contrario rispetto allo stereotipo di chi fa il suo mestiere...

«Esattamente! Uno si immagina il classico musicista maledetto, e in parte lo sono stato in passato, ma oggi sono super salutista. Seguo il regime alimentare del dottor Franco Berrino: niente carne, insaccati, formaggio, zuccheri e carboidrati, tantissima frutta e verdura, tanto pesce e cereali. Da questo punto di vista sono impeccabile. E quando vado in bici mi vesto pesante apposta per sudare di più ed espellere tutte le tossine: sono magro come non lo ero neppure quando correvo da giovane!»

E fra pochi giorni, domenica 7 maggio, con la sua musica parteciperà a un evento molto bello dedicato al ciclismo (o meglio, al cicloturismo e a un bel territorio)

«In occasione del Valle Savio Bike Sound, alle 17:30 sarò in concerto ai Giardini Pubblici di via Lungo Savio a Bagno di Romagna. Farò una scaletta della mia storia: inizierò con qualche pezzo dei La Crus e proseguirò con qualcuno mio e qualcun altro storico della canzone italiana. E se riesco (cosa che noi artisti non facciamo quasi più) proverò a fare un pezzo del disco nuovo in anteprima, dove parlo anche di ciclismo. Sarebbe perfetto riuscirci in occasione di un evento che unisce bici e musica!»

Ci spieghi di più

«Ho due dischi già pronti e devo solo decidere quale fare uscire per primo. Uno, a quindici anni di distanza, è un inedito dei La Crus. L'altro racchiude diversi brani che ho realizzato a quattro mani: uno con Colapesce, uno con Francesco Bianconi dei Baustelle, due con Giuseppe Anastasi, uno con Cheope figlio di Mogol... e uno anche con Lele Battista, dal titolo "Non credo nei miracoli", che affronta il tema del ciclismo praticato come l'ho praticato io.»

Il ciclismo ha avuto un influsso sulla sua carriera di cantante?

«Ho capito solo dopo quanto sia stato importante: l'idea del sacrificio e della costanza quotidiana che ti insegna questo sport mi è servita tantissimo da artista. Spero davvero di riuscire a mantenere la promessa ed eseguire "Non credo nei miracoli" apposta per il Valle Savio Bike Sound.»

Infine, quale corridore rispecchia maggiormente il suo stile?

«Il già citato Bugno: è introspettivo e crepuscolare, non è solare così come non lo siamo io e la mia musica. Assomiglia alle cose che musicalmente faccio e mi piacciono.»

[nella foto scattata da Alex Astegiano, Mauro Ermanno Giovanardi posa davanti a foto e bici del "Diavolo Rosso" Giovanni Gerbi]

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