L’hanno premiata, ma non si sente assolutamente la migliore, tutt’al più la più fortunata. Anche nelle situazioni difficili, esiste una gradualità. Puoi essere affetta da sclerosi multipla, ma puoi medicare la situazione con farmaci e attività sportiva, anche se alla base di tutto, per dirla con Cristina Nuti «occorre una buona dose di fortuna, perché sarebbe un errore far passare il messaggio: se vuoi, puoi. Questo non è vero, questo non è giusto per chi è meno fortunato di me e per tanti che si trovano a vivere la mia stessa situazione».
L’hanno premiata con il Beat Yesterday Awards di Garmin il 2 dicembre scorso. Cristina Nuti, 50 anni compiuti quest’anno, milanese di San Donato, è chiaramente felice per questo riconoscimento, ma quello che a lei sta più a cuore è raccontare la sua storia, che non vuole essere quella di una eroina, ma di una donna che affetta da sclerosi ha saputo correre e concludere una gara di Triathlon. «È probabile che sia l’unica in Italia e in Europa, mi risulta che ce ne sia una negli Stati Uniti - ci racconta -, ma questo riconoscimento l’ho preso più che volentieri per mandare un messaggio a quanti si trovano in una situazione anche più grave e complessa della mia. Dopo una prima fase molto difficile e dolorosa, adesso sto discretamente bene. Diciamo che vivo piuttosto bene, sotto controllo, ma senza tanti patemi. Ma le storie non sono tutte uguali, purtroppo».
La malattia diagnosticata nel 2008, le prime corse a piedi nel 2017. Prima le maratone e poi, dal 2019, il Triathlon. «La molla è stata proprio la malattia, oltre ad una serie di accadimenti personali: separazione, perdita del lavoro e altre cose che preferirei non elencare. Diciamo che tra il 2013 e il 2014 mi è successo un po’ di tutto. Pensi che avevo anche una bellissima cagnolona che mi ha lasciato anche lei. Ero sola, e mi sono dovuta reinventare. Con calma, con pazienza, mettendo in fila i pensieri e le priorità. La prima? Alzarsi dal letto. Fare quel primo passo: difficile, duro, doloroso».
Oggi Cristina lavora in una multinazionale americana, la Dell Tecnologies, come marketing manager a livello europeo, ma la sua rinascita, il suo tornare in gruppo non è stato assolutamente facile. «Proprio così, la prima cosa che ho fatto è stata quella di trovare un gruppo di corsa a Milano – ricorda -, composto da sole ragazze. È stato un modo per resettare tutto e ricominciare daccapo. Un modo per trovare nuove amicizie, nuovi modi di stare assieme. Per quanto riguarda la competizione, ho cominciato per gradi: all’inizio 5 km, poi 10, poi la Maratona di Milano nel 2017 e da lì in poi altre nove. I tempi? Non sono importanti, quello che conta è correre e arrivare, in ogni caso sono sulle 4 ore e 10 minuti. Come è nata la passione per il Triathlon? Come spesso accade, per puro caso. Nel 2018 ero andata a vedere una gara di Triathlon sprint a Milano e mi sono detta: adesso ci provo anch’io. È troppo divertente! Piccolo dettaglio: non sapevo nuotare».
A gennaio 2019 ha iniziato a prendere lezioni di nuoto e a giugno era pronta per fare la prima gara di sprint. «In sei mesi più che imparato mi sono tolta la paura dell’acqua - dice -: galleggiavo. Nuotavo da piccola, poi mi sono spaventata e ho avuto una pausa di riflessione durata circa 40 anni, ma con determinazione sono riuscita a mettermi tutto alle spalle, anche la paura dell’acqua. La prima gara di Triathlon a Milano, all’Idroscalo. Ricordo che ho fatto le prime bracciate a stile libero, fin quando le alghe non si sono impossessate delle mie braccia come dei mostri marini e allora mi sono girata a dorso e con quello stile ho finito. Il Covid, come potete bene immaginare, ha fermato e rallentato un po’ tutto questo mio processo di crescita. L’anno scorso, però, ho fatto il primo olimpico, sempre a giugno a Milano, mentre a settembre ho corso il primo mezzo Ironman. Quest’anno ho fatto il secondo mezzo Ironman e a luglio il primo e vero Ironman, a Klagenfurt».
Garmin segue Cristina, e lei scrive la sua storia a Garmin, per il Beat Yesterday. «Poi incontro alcuni dirigenti di Garmin a Cervia e mi dicono che sono rimasti colpiti dalla mia storia - ci racconta -, io spiego loro che tutto questo era stato possibile da una malattia che mi ha permesso di farlo, che sono in ogni caso fortunata. Ho la fortuna di allenarmi costantemente tutti i giorni, con sedute di allenamento molto importanti. E poi c’è la dieta priva di tante cose; alimenti infiammatori come il Nikel, è dappertutto, e bisogna lasciarli perdere. Poi dopo ho scoperto di essere intollerante al glutine e al latte, ma anche che tutte le farine e il sale fanno alzare lo stato infiammatorio. Al momento, non sto prendendo farmaci, ma ne ho presi. Sono monitorata costantemente, con esami periodici e check-up annuale».
Da ragazzina amava il tennis, pensava di essere anche portata e uno dei suoi sogni era quello di giocare a livello agonistico ma la mamma temeva che questo l’avrebbe distolta dallo studio. Oggi va di corsa, e si fa in tre: il prossimo obiettivo è la lunga distanza e sempre con il Triathlon. «La testa dura l’ho sempre avuta - aggiunge lei con un sorriso luminosissimo -, anche se come le ho detto il messaggio non vuole essere assolutamente: se vuoi, puoi. Anche perché spesso e volentieri non puoi o non riesci perché il tuo fisico magari è in una situazione peggiore del mio e non risponde. Però se vuoi ci provi, vedi dove arrivi ed hai già vinto. È questo il messaggio che voglio dare. Spesso e volentieri, per certe persone che sono in una situazione molto più complicata della mia, fare divano-cucina è già un successo. Anche per me non è stato facile, quando sono stata in ospedale è stata durissima. Se dai retta alla testa sei fritta. Il messaggio non è fare l’Ironman, ma provare a fare un passo in più. Difatti diverse persone mi hanno scritto. Una ragazza ha cominciato ad andare in bicicletta, un papà mi ha scritto che la sua bimba ha cominciato a fare atletica. Era questo il mio scopo: essere utile a me stessa e agli altri. Ormai è risaputo: fare del bene fa bene. Basta un passo in più».
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