Caro Direttore, anche nel Ciclismo alcune notizie, benché bisbigliate da tempo tra gli addetti ai lavori, lasciano amarezza ed insieme rimpianto.
Sonny Colbrelli , oltre ad averci regalato delle perle di vittoria , con il suo addio alla propria professione , forzato e peraltro lodevolmente ragionato, ci offre suo malgrado anche un motivo di riflessione. Non di poco conto, credo.
Nonostante troppo spesso si sprechino per i Corridori, soprattutto quelli vincenti, superlativi ed aggettivi ai limiti del fantascientifico per definirne le prestazioni, si ha comunque a che fare con donne e uomini che decidono di dedicare ad una disciplina sportiva oltremodo esigente gli anni migliori della loro vita. Hai voglia a dire che adesso, in particolare per i Team di prima grandezza, il Ciclismo è tecnologia, che tutto è metodicamente supervisionato, che le preparazioni si conformano a metodi scientifici che “programmano” l’atleta per impegni precisi , ben individuati e e temporalmente definiti.
Fino a prova contraria è ancora l’uomo ad essere il/la Ciclista Professionista, con tutti i limiti e le criticità che la natura, od il Padreterno se si preferisce, possono scaraventargli sul capo, e senza preavviso. Per come la vedo, ci aggiungo il fatto , inequivoco , che i sacrifici e la fatica abbiano ancora una grande parte nella vita di chi “fa il Corridore-Ciclista” , un’attività atletica-agonistica che da’ il giro ai cd. lavori usuranti.
Con la sua decisione, di certo sofferta, Sonny Colbrelli affronta e vince di nuovo una grande gara : della quotidianità, di vita e famigliare , sull’eccezionalità dell’essere un Campione. Chapeau.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi
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