La giornalista chiede al campione: «Quante infiltrazioni hai dovuto fare per arrivare fin qui?». E il campione risponde: «È meglio che tu non lo sappia».
Un dialogo normale per certi sport, un dialogo impossibile nel ciclismo. Perché non è vero che tutti gli sport sono uguali e hanno le stesse regole anche se tutti fanno capo alla stessa casa comune, che è il CIO, e anche se tutti si appellano allo spirito olimpico e tutti assegnano medaglie d’oro e che...
No, non è vero che tutti gli sport sono uguali. E la vicenda di Nadal, è lui il campione del quale si parla, ha spinto diversi ciclisti ad alzare la voce, a dire la loro, a chiedere equità. Non dicendo «vogliamo farlo anche noi», sia chiaro, ma dicendo «non devono farlo nemmeno loro». E la differenza far queste due frasi non è banale, è il segnale di una nuova cultura.
Il primo ciclista a reagire ieri, quando la giornalista Barbara Schett ha postato il tweet con la domanda rivolta a Nadal - «Quante infiltrazioni hai dovuto fare per arrivare fin qui? - e la relativa risposta, è stato Thibaut Pinot che ha commentato ironicamente «gli eroi di oggi…» aggiungendo l’emoticon con la faccina perplessa.
E Guillaume Martin è andato ancora più a fondo in una intervista concessa a L’Equipe: «Quello che ha fatto Nadal sarebbe stato impossibile nel ciclismo e io trovo che sia giusto così, che sia normale. Se si è malati o infortunati, non si corre, non si affrontano gare, mi sembra solo che sia buon senso. Per diverse ragioni: primo, per la salute degli atleti. A lungo andare non sono sicuro che queste pratiche facciano bene alla caviglia di Nadal. In secondo luogo, i farmaci e ancor di più le infiltrazioni non solo hanno un effetto curativo, ma possono sicuramente avere influenze sulle prestazioni o essere utulizzati per migliorare le prestazioni, quindi mi sembra molto borderline».
E ancora: «Ci sono differenze di regolamenti e di trattamenti , quindi anche di immagine, tra i vari sport. Per un ciclista questa pratica è vietata, ma anche se così non fosse, tutti gli darebbero addosso definendolo dopato perché c'è un background culturale attorno allo sport delle due ruote. Mentre la gente esalta Nadal per essere stato in grado di arrivare così lontano superando il dolore…».