Saranno nove i corridori italiani al via del Tour de France. Per ritrovare un numero così basso bisogna risalire fino al 1984. Allora tra i 168 corridori si allinearono Giovanni Battaglin, Carlo Tonon, Simone Fraccaro, Bruno Leali, Luciano Loro, Valerio Lualdi, Giancarlo Perini, Glauco Santoni e Roberto Visentini. Finirono il Tour solo in cinque con Loro 22° a 52’37” dal vincitore Laurent Fignon, poi Santoni 70°, Leali 76°, Perini 81° e Lualdi 113°. L'anno prima, era il 1983, gli italiani furono solo 6 (Bincoletto, Franceschini, Groppo, Magrini, Pinori e Vandi, tutti della Metauro Pinarello capitanata da Van Impe che chiuse quarto) con la vittoria di tappa di Riccardo Magrini nello spettacolare scenario dell'Ile d'Oleron. E per quattro volte - 1973, 1978, 1980 e 1981 - di italiani al via non ce ne fu neppure uno.
Stavolta al via da Brest ci saranno Davide Ballerini e Mattia Cattaneo della Deceuninck Quick Step, Sonny Colbrelli della Bahrain Victorious, Davide Formolo della UAE Emirates, Jacopo Guarnieri della Groupama FDJ, Vincenzo Nibali della Trek Segafredo, Daniel Oss della Bora Hansgrohe, Lorenzo Rota della Intermarché Wanty Gobert e Kristian Sbaragli della Alpecin Fenix.
Nel 1984 erano 9 su 168 partenti, vale a dire il 5,35% del totale, stavolta saranno 9 su 184, vale a dire il 4,89%. Allora le squadre al via erano 17 con gli italiani che erano tutti accasati alla Carrera Inoxpran con il polacco Czeslaw Lang che completava l’organico. Nessun corridore italiano nelle altre sedici formazioni straniere.
Ques’anno le squadre sono 23 e non c’è alcuna formazione italiana al via, l’unico team che schiera due azzurri è la belga Deceuninck Quick Step. Un dato, quello dell’assenza di formazioni italiane, sul quale da tempo si riflette ma che resta senza soluzione almeno finché all’orizzonte non si paleseranno grandi dirigenti italiani accompagnati da grandi sponsor italiani o almeno di italica matrice.
Un altro dato su cui riflettere è il numero delle nazioni rappresentate al via: nel 1984 erano 17, ben otto delle quali avevano 1 o 2 soli rappresentati. Stavolta le nazioni rappresentate sono ben 27, dieci delle quali hanno 1 o 2 corridori.
È l’effetto evidente di una mondializzazione sempre più estesa: una piccola nota esplicativa di questo, nell’84 la Slovenia non solo non esisteva, ma l’intera Jugoslavia non aveva un solo corridore, mentre ora ne ha 4 due dei quali sono stati il 1° e il 2° dell’edizione 2020 e sono ancora i favoriti della corsa.
Altri numeri interessanti: la Francia, pur avendo al via 6 formazioni, conta solo 33 corridori contro i 55 dell’edizione 1984. Tre in meno ne ha il Belgio, uno in meno l’Olanda, due in più la Spagna, otto in meno la Colombia.
Sono numeri che fanno capire come... attraverso questi numeri sia impossibile monitorare lo stato di salute di un movimento ciclistico. E non c’era bisogno del Tour de France per capire che il ciclismo italiano continua a pagare errori di politica sportiva, di mancati investimenti, di eccessivo campanilismo e di troppa lentezza nell’adeguarsi al mondo in cambiamento continuo.
Detto questo, speriamo che gli italiani in questo Tour riescano a fare meglio dei loro colleghi del 1984 che tornarono a casa a bocca asciutta.
Chi può puntare a vincere una tappa? I nomi ci sono, a cominciare dal fresco campione italiano Sonny Colbrelli che non ha nascosto di volerci provare sin dalla frazione inaugurale. Attenzione anche a Davide Ballerini: ufficialmente la sua squadra lo inserisce nel treno per Cavendish, ma bisogna sempre considerare che Cannonball torna al Tour dopo tre anni difficili e che quest’anno ha sì ritrovato la via della vittoria ma lo ha fatto al Giro di Turchia e al Giro del Belgio, che non sono proprio delle corse top.
Mattia Cattaneo vola, ha davanti a sé un capitano come Julian Alaphilippe, lavorerà certo per il campione del mondo ma potrebbe anche capitargli l’occasione giusta.
Davide Formolo vestirà nella UAE Emirates i panni del punto di riferimento per Tadej Pogacar, mentre Jacopo Guarnieri della Groupama FDJ è da anni il pesce pilota apprezzatissimo di Arnaud Demare, cosa che vale anche per Daniel Oss con Peter Sagan nella Bora Hansgrohe.
Lorenzo Rota della Intermarché Wanty Gobert e Kristian Sbaragli della Alpecin Fenix sono al loro debutto al Tour de France, corrono in formazioni che non hanno un leader di classifica dichiarato per la generale e potrebbero giocarsi qualche carta nelle fughe di giornata, anche se il toscano come obiettivo principale ha quello di lavorare per capitan Van der Poel.
E per finire c’è Vincenzo Nibali della Trek Segafredo: lui il Tour l’ha vinto nel 2014, è arrivato 3° nel 2012, 4° nel 2015 e 6° nel 2009. Non va in Francia per fare classifica, ma di certo non va nemmeno per fare il turista: lavorerà per la squadra, inseguirà una vittoria di tappa o un risultato importante, preparerà l’appuntamento olimpico e di sicuro non tradirà le attese. Perché resta, oseremmo dire suo malgrado, il miglior ciclista italiano nelle corse a tappe. E questo sì è un chiaro sintomo di crisi di un intero movimento...