A soli 24 anni può dire di aver già vinto un Tour e un Giro. E, chiaramente, comunque vada a finire è già nella storia del ciclismo. Ma Egan Bernal di strada ne ha fatta tanta, con passione, dedizione e determinazione. È stato raccontato, ma vedere il documento che è stato postato sui social in questi giorni ti fa riflettere. Dietro ad una parola, come vittoria, c’è un mondo, una storia fatta di sacrifici. E lo stesso per quell’altra parola: sconfitta. Noi tutti siamo portati a sintetizzare: è normale. Ma questo post, questa richiesta d’aiuto per poter realizzare il proprio sogno, quello di diventare un giorno corridore professionista, è un documento che fa pensare.
Richiesta di fondi, con quel messaggio affidato ad una bottiglia virtuale che si chiama Facebook. Correva l’anno 2014. Cercava finanziatori Egan, per la trasferta della nazionale di ciclismo colombiana (oggi si direbbe crowdfunding) dov’era stato selezionato per il campionato mondiale in Norvegia: argento iridato junior nel cross country, alle spalle del norvegese Andreassen. Succedeva il 4 settembre. Il post di Egan è di quasi un mese prima, 6 agosto, in lingua spagnola. «Voglio dire alle persone che non mi conoscono bene che sono uno junior di “ciclomontañismo” con grandi sogni e obiettivi. Sono al 12° posto del ranking Uci e il 28 agosto partirò per il Mondiale in Norvegia dove rappresenterò la Colombia!! Per questo ho necessità di coprire le spese, il viaggio è molto costoso e qui chiedo aiuto alle persone che possono vedere questo messaggio, un aiuto economico o messaggi di appoggio. Questo viaggio è molto complicato, mi sto preparando a essere al 100% nella competizione e a non tradire chi mi aiuta e ha fiducia in me. E poi voglio mostrare il potenziale che ha la Colombia. Aiutatemi a trasformare tutto questo in realtà, in modo che il mio Paese sia sempre più conosciuto per cose buone come questa. (…) Vi ringrazio già in ogni caso. Go for it!!».
Osa Egan, anche in quell’occasione. Attacca con decisione. Troverà i fondi e, soprattutto, troverà persone che lo accoglieranno come un figlio. Paolo Alberati, Gianni Savio, Giovanni Ellena, i tanti amici del Canavese e oggi anche Giuseppe Acquadro, il suo manager. Una storia pazzesca, fatta di passione e determinazione: non solo in sella ad una bicicletta, ma anche davanti alla tastiera di un computer.