Viborg, 3 giugno 1970: luogo e data di nascita di Eugenio Berzin, scritto all’italiana perché è proprio nel nostro Paese che il corridore russo ha deciso di vivere anche al termine della carriera e poi perché fu Candido Cannavò, indimenticato direttore della “rosea“ a chiedere che lo si chiamasse Eugenio.
Una carriera iniziata, come per molti ragazzi dell’allora Unione Sovietica, nel collegio statale di San Pietroburgo: campione del mondo dell’inseguimento a squadre tra gli juniores nel 1988, quindi nel ’90 il doppio titolo iridato dell’inseguimento tra i dilettanti, prima dell’approdo in Italia - era il 1992 - nella Cuoril dilettanti diretta da Ennio Piscina ed Emanuele Bombini. Con il tecnico pavese e la sua Mecair Ballan, il passaggio al professionismo nel 1993.
L’anno d’oro di Eugenio è stato il 1994: secondo alla Tirreno e ai Paesi Baschi, primo al Criterium International e poi soprattutto alla Liegi-Bastogne-Liegi prima di uno straordinario Giro d’Italia nel quale riuscì a mettersi alle spalle Miguel Indurain e Marco Pantani.
Una stagione che Berzin non è più riuscito a ripetere: vittorie sì, anche due giorni in maglia gialla al Tour de France del 1996, ma senza arrivare più ai risultati del 1994.
In carriera ha corso per la Mecair Ballan nel 1993, per la Gewiss dal 1994 al 1996, per la Batik Del Monte nel 1997, per la Française des Jeux nel 1998, per la Amica Chips nel 1999 ed infine per la Mobilvetta Design nel 2000 e fino al 5 maggio del 2001 quando ha annunciato il suo ritiro.
«Adesso sono a Firenze, sono rimasto chiuso in casa per due mesi - racconta a Tuttosport Eugenio -. Ho la residenza in Lombardia e all'inizio mi guardavano male, come fossi un untore...». E sulll'emergenza Covid-19 va giù deciso. «Per me la situazione è stata gestita male. dovevano avvisarci prima e fare delle zone rosse, chiudendo le case di riposo». E sulla ripartenza anche del ciclismo, Berzin ha qualche dubbio... «Dicono che il ciclsmo parturà, ma alla fine succederà davvero? L'Uci può dare delle indicazioni, ma l'ultima parola spetta agli organizzatori. Non si può, ad esempio, salire a tremila metri in ottobre per il Giro d'Italia. Pensavo che lo riprogrammassero in una versione più corta, invece bisognerà studiare di nuovo il percorso».
E sul Tour: «È una vita che alla Grande Boucle fanno ciò che vogliono. Hanno un'organizzazione doversa rispetto agli altri grandi giri e numeri decisamemente superiori agli altri, a cominciare dagli ascolti televisivi».